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28 Anni Dopo: Danny Boyle presenta a Roma il film

28 Anni Dopo, Danny Boyle presenta i anteprima a Roma il film nelle sale cinematografiche italiane dal 18 giugno.

A distanza di quasi trent’anni dal cult originale 28 Giorni Dopo, Danny Boyle torna a raccontare un mondo post-apocalittico segnato da paure, cambiamenti sociali e nuovi orizzonti narrativi in 28 Anni Dopo. Il film, scritto da Alex Garland, approderà nelle sale italiane il 18 giugno e il il regista britannico premio Oscar, nell’attesa, ha presentato in anteprima alla stampa.

Nonostante siano passati tantissimi anni, il film originale ha continuato a essere molto popolare. È rimasto un film di culto, e anche se è disponibile in DVD, spesso vengono organizzate proiezioni seguite da dibattiti. Ha sempre suscitato un interesse particolare”, afferma Boyle. “Devo dire che con Alex Garland abbiamo parlato molte volte di fare un sequel, e lui ha proposto una serie di idee su cui abbiamo lavorato insieme. Ma è stato solo quando è emersa questa proposta specifica che ci siamo sentiti davvero carichi di energia: lui ha scritto una storia molto più ampia di quanto ci si potesse aspettare, proprio perché volevamo creare un’esperienza più grande, ambientata molto tempo dopo gli eventi del primo film. Quello che ci interessava soprattutto era inserire nella storia la Brexit e i Teletubbies.”

Come si spiega questa fascinazione del pubblico per il genere horror? È forse un modo per esorcizzare le proprie paure?

Credo che questa attrazione da parte del pubblico dipenda dall’incomprensibilità del mondo. Quando abbiamo realizzato il primo film, ci dissero chiaramente che le donne non sarebbero mai andate a vederlo, perché l’horror, si diceva, non interessa al pubblico femminile. Oggi, invece, la situazione è molto diversa: sono molte le donne che vanno a vedere film horror. Devo dire che oggi si misura tutto, anche la composizione del pubblico, e quando abbiamo fatto dei test in America, il gruppo di donne che rimaneva alla fine della proiezione faceva sentire chiaramente la propria opinione sul concetto stesso di horror. Discutendo, si chiedevano persino se definirlo davvero un film horror, perché questo film contiene anche molto altro. L’horror attira e piace perché non si può fare a meno di andare al cinema per esorcizzare le proprie paure, il proprio disgusto, la propria avversione per tutti gli orrori — quelli veri — che ci circondano nel mondo reale. Anche perché l’horror è un genere molto flessibile, che puoi ampliare per includere molte più cose.”

Come spiega il fatto che le donne vogliano vedere i film d’horror?

“Credo che ci stiamo liberando sempre più delle aspettative che ci sono nei confronti delle donne su cosa dovrebbero e non dovrebbero fare, e poi perché sono interessate. Chi più delle donne conosce bene la sofferenza e il dolore?”

La storia segue il dodicenne Spike, definirebbe il suo viaggio di formazione o di deformazione?

La nostra intenzione è quella di realizzare una trilogia, anche se poi ciascun film è autonomo, indipendente. Questo è il primo, abbiamo già girato il secondo e stiamo già lavorando per raccogliere i fondi per il terzo. In ogni caso, il viaggio del ragazzino è anche il viaggio del film, perché ci si aspetta che segua le orme del padre e di una comunità che guarda indietro, all’Inghilterra degli anni ’50 — e questa è, in un certo senso, la Brexit. Una comunità in cui i ruoli di genere sono ben definiti: i maschi sono maschi, le femmine sono femmine; ai ragazzi si insegna a cacciare, uccidere, difendersi, mentre alle ragazze si riserva un altro tipo di compito. Questa è la vecchia Inghilterra. La decisione che prende il protagonista, invece, è molto più orientata verso il progresso, verso l’andare avanti. Infatti, non torna a casa, ma va per conto suo, segue la propria strada. Ed è proprio questo che rappresenta: il progresso.”

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Rome (Italy), June,11 2025 – Danny Boyle attends the “28 Years Later” photocall in Rome at Hotel Eden Terrace on June 11, 2025, in Rome

Dagli eventi mondiali attuali sembra che la pandemia abbia peggiorato l’umanità. Quanto ha influito tutto questo sulla scrittura di Alex Garland?

Quando abbiamo fatto il primo film, la scena iniziale che mostra una Londra completamente deserta fu qualcosa di molto potente — soprattutto se pensiamo che, con il Covid, quell’immagine è poi diventata comune in tante città del mondo. È una rappresentazione impressionante del pericolo, e questo ha finito per alimentare ulteriormente il film, ancor di più nel modo in cui, col tempo, ci siamo adattati alla pandemia. Naturalmente, la reazione iniziale — fatta di sorpresa e quasi di paralisi — non poteva durare per sempre. Dopo un periodo così lungo, come i 28 anni del film, non si poteva continuare a reagire al virus come si era fatto all’inizio. Così, la risposta è diventata quella di cominciare a correre dei rischi: uscire, cercare di procurarsi il cibo, andare a caccia. I sopravvissuti non morivano più solo di fame, e cacciare significava unirsi in gruppo, agire insieme. Ma la cosa più interessante è che anche il virus si è adattato, si è evoluto per cercare di sopravvivere. E, di conseguenza, anche gli infetti hanno iniziato a cambiare: sono emersi gli “alfa”, quelli più lenti, quasi striscianti, che consumavano meno energie. E sì, il Covid ha avuto una fortissima influenza sulla scrittura.”

Il nome del virus è “La Rabbia”, un titolo che oggi sembra profetico perché la rabbia è ovunque. Le preoccupa questo?

Quando abbiamo realizzato il primo film, abbiamo pensato alla rabbia quotidiana, quella che, per esempio, si manifesta ogni volta che sei alla guida. Poi, però, le cose sono cambiate e ci siamo resi conto che la rabbia è diventata quasi l’impostazione predefinita della nostra quotidianità. Si passa da 0 a 100 senza nessuna fase intermedia, come la frustrazione o la delusione. Ovviamente ci sono molte teorie a riguardo, ma credo che, in fondo, parte della colpa sia della tecnologia, che ci ha dato tantissimo potere a livello individuale. Poi però ci rendiamo conto che non siamo il centro del mondo — anche perché, indipendentemente da chi siamo, finiamo tutti nello stesso posto. Il nostro obiettivo, comunque, era raccontare anche la speranza, l’umiltà.”

Come combatte da narratore il caos e il cinismo di oggi?

Io sono un nemico del cinismo, perché sono un ottimista per natura, anche se spesso faccio film molto cupi. Sono fortunato, perché sono una persona curiosa. C’è un detto che dice che l’unica cura per la noia è la curiosità — ma non esiste cura per la curiosità, perché è una ricerca infinita, un continuo porsi domande. Quindi sì, la mia ‘infezione’ è la curiosità.”

Quali sono gli elementi significativi di 28 anni dopo?

Volevamo realizzare un sequel dell’originale che fosse incentrato sui personaggi e sulla famiglia. Nel primo film, 28 Giorni Dopo, come ricorderete, i due protagonisti diventano rapidamente una sorta di famiglia, e anche in questo nuovo film volevamo ripetere quell’esperienza. Desideravamo un film non solo entusiasmante e avvincente, capace di attirare i fan dell’horror, ma anche un film che parlasse della famiglia: di cosa significa, di come può frantumarsi, delle conseguenze che un trauma può avere su di essa. E, alla fine, raccontare la scelta del protagonista di allontanarsi, prendendo una strada diversa da quella del padre. Volevamo qualcosa che fosse una sorpresa, che non seguisse semplicemente le regole di un buon sequel, ma che avesse un respiro più ampio. E speriamo davvero di esserci riusciti.”

Come è stato lavorare con la nuova tecnologia a questo film?

Abbiamo utilizzato tantissimi cellulari e molte macchine da presa leggere, perché non volevamo lasciare un’impronta pesante, considerando che ci muovevamo in ambienti naturali. Molte scene, infatti, sono state girate interamente con i droni, e non è stata necessaria la presenza della troupe: abbiamo inviato solo gli attori. Volevamo realizzare qualcosa di nuovo e diverso, soprattutto perché la tecnologia ha fatto passi da gigante e molti cellulari oggi offrono la possibilità di girare in 4K, che è tutto ciò che serve per il cinema. Questo ha rappresentato una sfida importante per la troupe, che si è sentita un po’ destabilizzata. Noi non miravamo alla perfezione, perché la cosa importante sono le crepe all’interno di essa, e quelle si potevano ottenere solo così.”

In 28 Anni Dopo sono passati quasi tre decenni da quando il virus della rabbia è fuoriuscito da un laboratorio di armi biologiche e ora, ancora in una quarantena forzata e brutale, alcuni sono riusciti a sopravvivere in mezzo agli infetti. Un gruppo di sopravvissuti vive su una piccola isola collegata alla terraferma da un’unica strada rialzata ed estremamente protetta. Quando uno di questi lascia l’isola per una missione diretta nel profondo della terraferma, scoprirà segreti, meraviglie e orrori che hanno mutato non solo gli infetti ma anche gli altri sopravvissuti.

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Emanuela Giuliani


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