Diretto da Mike Newell con Johnny Depp e Al Pacino: Donnie Brasco, quando il dovere ti chiede di tradire chi ami.
Ci sono film che si limitano a narrare una storia, e poi ci sono quelli che si insinuano sotto la pelle, lentamente, come un veleno dolce e sottile. Film che ti costringono a guardarti dentro, a interrogarti su cosa significhi davvero essere fedeli alla legge, a un ideale, a una persona, e Donnie Brasco, diretto da Mike Newell nel 1997, è uno di questi.
Donnie Brasco infatti non è solo un crime movie, è un dramma esistenziale mascherato da gangster story, un racconto di identità frantumate e sentimenti traditi, tratto da una delle operazioni sotto copertura più rischiose e straordinarie mai compiute nella storia dell’FBI.
Basato sulla vera esperienza dell’agente Joseph D. Pistone, che visse per quasi sei anni infiltrato nella mafia italoamericana sotto lo pseudonimo di Donnie Brasco, il film esplora i limiti dell’inganno, la fragilità dell’identità e il prezzo umano del dovere, ma soprattutto racconta cosa accade quando chi dovrebbe essere solo un bersaglio diventa qualcosa di molto più complesso: un padre, un amico, un uomo che si fida.
Una trama che si consuma a fuoco lento, ma brucia a lungo
New York, anni ’70. Joe Pistone (Johnny Depp) è un agente dell’FBI specializzato nel traffico di gioielli, e gli viene affidata una missione che cambierà la sua vita: infiltrarsi in una delle famiglie mafiose più pericolose della città sotto l’identità di Donnie Brasco. Per guadagnarsi un posto in quell’universo chiuso e spietato, Donnie deve farsi accettare da chi può davvero introdurlo: Benjamin “Lefty” Ruggiero (Al Pacino), un mafioso di vecchia data, ormai logorato dagli anni e dal sistema, ma ancora legato a un codice d’onore che sembra fuori dal tempo.
Tra i due si instaura un legame profondo, segnato da una fiducia reciproca che travalica i confini dell’inganno. Lefty prende Donnie sotto la sua ala, lo tratta come un figlio, gli insegna i rituali e le regole non scritte del crimine organizzato. Ma più Joe si immerge in quel mondo, più la linea tra la sua vera identità e quella costruita inizia a dissolversi. L’uomo della legge comincia a provare un affetto autentico per l’uomo che dovrebbe tradire, e a ogni passo avanti nell’indagine, lascia indietro un pezzo di sé.
La mafia senza glamour: il volto stanco del crimine
Donnie Brasco ha il coraggio di mostrare la mafia senza filtri mitizzanti. Nessun lusso, nessuna retorica del potere, solo uomini disillusi, perdenti, prigionieri di un sistema che promette rispetto e restituisce solo paura, sospetto e solitudine, con Lefty incarnazione di questo fallimento.
Lefty, ha sacrificato tutto per la “famiglia”, ma resta ai margini, invisibile, dimenticato, ha ucciso, taciuto e obbedito, ma in cambio ha ricevuto solo un’esistenza vuota e un futuro senza garanzie, e in questo scenario il rapporto con Donnie assume un peso tragico. L’affetto che li unisce non è retorico, né artificioso: nasce dalla disperazione, dal bisogno reciproco di sentirsi visti, riconosciuti, necessari, un’illusione di umanità in un mondo disumano.
Al Pacino, in uno dei suoi ruoli più intensi e sottovalutati, dà vita a un Lefty stanco, vulnerabile, tragico, non è il boss carismatico, ma l’uomo che ha dato tutto e ha ricevuto niente. La sua performance è fatta di sguardi abbassati, di gesti ripetuti, di parole dette a mezza voce, una maschera che cade lentamente, scena dopo scena.
Johnny Depp, dal canto suo, offre una delle interpretazioni più misurate e interiori della sua carriera, il suo Joe Pistone è un uomo intrappolato tra ciò che deve fare e ciò che sente, un infiltrato che finisce per essere infiltrato anche dentro se stesso. La tensione emotiva che lo attraversa è palpabile, mai ostentata, e cresce fino a diventare insostenibile.
Un conflitto etico che non cerca risposte facili
Al centro del film pulsa un dilemma morale inesorabile: fino a che punto si può mentire senza smarrirsi? Joe Pistone sa che la sua missione può salvare vite, indebolire un sistema criminale, fare giustizia, ma sa anche che per riuscirci dovrà pugnalare alle spalle l’unico uomo che in quel mondo gli ha dimostrato qualcosa di vero. La legge gli chiede di tradire non un criminale, ma una persona, un uomo che, paradossalmente, gli ha dato più affetto di chiunque altro in quegli anni.
Il film non offre risposte semplici, non cerca il riscatto eroico, non concede catarsi, ma lascia parlare le esitazioni, i silenzi, le pause cariche di ciò che non può essere detto costringendosi a guardare la verità negli occhi: in certe scelte, qualunque direzione si prenda, si perde qualcosa di irrecuperabile.
Donnie Brasco è ancora più potente perché affonda le sue radici nella realtà. Joe Pistone ha davvero vissuto sotto copertura dal 1976 al 1981, mettendo a repentaglio la propria vita e quella della sua famiglia. L’operazione portò a oltre 200 arresti e cambiò radicalmente il modo in cui l’FBI combatteva la criminalità organizzata, tuttavia il prezzo fu altissimo: anni di isolamento, minacce di morte, un’identità cancellata.
Pistone collaborò attivamente alla realizzazione del film, garantendo un rigore documentaristico raro: ogni gesto, ogni scambio di battute, ogni codice non scritto è frutto di una conoscenza diretta e vissuta. Depp passò settimane con lui per studiarne movimenti, inflessioni, tic, mentre Pacino scelse Lefty proprio per la sua tragicità silenziosa, lontana dalle figure di potere che aveva già interpretato. Il risultato è un film che vibra di autenticità.
Un finale che non chiude, ma ferisce
Il film si chiude senza enfasi, ma con una forza emotiva devastante, Lefty capisce senza aver bisogno di spiegazioni e si prepara alla fine con quella dignità spoglia e muta di chi sa di aver vissuto credendo in qualcosa che forse non è mai esistito davvero.
Joe torna a casa, ma non torna davvero, è un uomo spezzato, svuotato, divorato dalla colpa e dall’ambiguità di ciò che ha dovuto fare, e quella stretta di mano con la moglie, quell’abbraccio che non riesce a sbocciare in una vera riconciliazione, dicono tutto. È tornato, ma ha lasciato un pezzo di sé per sempre dall’altra parte, e quel pezzo, probabilmente, era il più autentico.
Donnie Brasco non si limita ad essere un film sulla mafia, è un’indagine sull’identità, un dramma sull’amicizia impossibile, un racconto sul prezzo del dovere e sulla fragilità dell’animo umano. Non ci sono eroi, non ci sono veri colpevoli, ma solo persone, ognuna con il proprio bagaglio di sogni infranti, scelte difficili, cicatrici invisibili.
È un film che non cerca di intrattenere, ma di lasciare un segno. E ci riesce, perché dietro ogni scena, ogni battuta, ogni silenzio, c’è una domanda che resta con noi ben oltre i titoli di coda: quanto sei disposto a perdere per fare ciò che è giusto?
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Emanuela Giuliani