Aileen Wuornos: storia di un serial killer – il lato umano dietro i crimini nel docufilm disponibile su Netflix.
Nata in Florida nel 1956, Aileen Wuornos è stata una delle serial killer più famose degli Stati Uniti: tra il 1989 e il 1990 uccise sette uomini, sostenendo di averlo fatto per legittima difesa mentre lavorava come prostituta. La sua vicenda, segnata da traumi infantili, violenze e povertà estrema, culminò con l’arresto nel 1991 e la condanna a morte: fu giustiziata mediante iniezione letale nel 2002.
E se pensavi di conoscere già la sua storia, Aileen: storia di un serial killer, il documentario diretto da Emily Turner e disponibile su Netflix, ti invita a guardarla con occhi diversi. Un ritratto umano, sfaccettato e a tratti doloroso, che ci conduce nella mente e nella vita di una donna spesso raccontata in modo sensazionalistico dai media.
Il film combina registrazioni audio rare, interviste con chi l’ha conosciuta – familiari, avvocati, agenti – e filmati d’archivio di Dateline, oltre alle intense conversazioni in carcere con la stessa Wuornos. Turner lascia che la protagonista parli da sola, offrendo un’esperienza diretta e immersiva. Non si tratta di giustificarla né di demonizzarla: Wuornos resta una persona complessa, segnata da traumi e sofferenze, ma capace di azioni terribili.
Traumi, società e morale
In Aileen Wuornos: storia di un serial killer si intrecciano vita personale e questioni sociali e morali più ampie. Il film evidenzia gli abusi subiti fin dall’infanzia e le esperienze di violenza e abbandono che hanno segnato la sua vita adulta, mostrando come traumi, relazioni familiari instabili e povertà abbiano plasmato la sua personalità e le strategie di sopravvivenza, senza mai giustificare le sue azioni.
Il documentario mette lo spettatore di fronte al legame tra dolore personale e comportamenti socialmente inaccettabili, analizzando l’identità della Wuornos attraverso le lenti dell’ingiustizia di genere, dell’omofobia – testimoniata dalla sua relazione con una donna – e della stigmatizzazione legata alla prostituzione. Emarginazione e discriminazione hanno aggravato il suo senso di alienazione, contribuendo alle scelte tragiche della sua vita.
Un aspetto meno noto è il suo avvicinamento alla religione negli ultimi anni, come fonte di conforto. Stanca della vita di dolore e crimini, la Wuornos esprime la volontà di accettare la condanna come liberazione dal male che sentiva di aver compiuto, quasi come un atto consapevole di espiazione. Questo elemento aggiunge profondità al ritratto, mostrando una donna divisa tra fragilità, rimorso e ricerca di redenzione.
Pur se in alcuni momenti la contestualizzazione resta superficiale, il documentario invita a riflettere sul sistema giudiziario americano e sul modo in cui ha trattato una donna considerata “mentalmente instabile”. Turner mette in luce come stereotipi e pregiudizi possano condizionare la percezione pubblica e giudiziaria di una persona e, in casi estremi, incidere sul destino di un individuo.
La regista non cerca di assolvere Wuornos, ma mette in evidenza la complessità della sua vicenda, impossibile da ridurre a un semplice preconcetto di “serial killer”, senza ignorare la responsabilità morale e il dolore delle vittime. Pur con uno sviluppo talvolta più descrittivo che analitico, lo spettatore viene invitato a confrontarsi con questioni etiche e sociali, e il risultato è un ritratto che stimola la riflessione più che fornire risposte definitive, lasciando affiorare le tensioni tra trauma, società e responsabilità individuale.
L’impatto di una storia difficile
Il docufilm colpisce per l’intensità emotiva. Sentire la voce della Wuornos nei momenti più intimi dona veridicità al racconto, trasformandolo in un’analisi di un’anima tormentata più che in una semplice cronaca di crimini, e porta a interrogarsi su cosa significhi davvero “giustizia” e su quanto le sue azioni, pur condannabili, siano radicate in un contesto di sofferenza. Turner sintetizza bene la sfida morale del documentario osservando che è “più facile etichettarla come mostro che capire quanto fosse umana”.
Tuttavia, chi cerca un racconto più distaccato o analitico potrebbe sentirsi sopraffatto dall’intimità della narrazione, che privilegia il punto di vista della protagonista. Il film non pretende di offrire un’analisi completa né risposte definitive sulle motivazioni della Wuornos. Il suo obiettivo è stimolare la riflessione, grazie anche alle registrazioni rare e al modo intimista con cui Turner le mette in scena, scavando nell’aspetto psicologico con un approccio rispettoso e un uso sapiente del materiale d’archivio, che amplifica la voce diretta della protagonista.
Uno sguardo umano sul crimine
In conclusione, Aileen: storia di un serial killer lascia spazio all’ascolto, mettendo in discussione le certezze dello spettatore e trasformando una vicenda drammatica in un’occasione per riflettere sulla complessità umana, sulla fragilità e sulle scelte nate dal dolore.
Il documentario mostra come il giudizio su una vita possa essere più sfumato di quanto sembri, evidenziando l’influenza dell’ambiente e delle esperienze sulle decisioni personali. Lo spettatore affronta sentimenti contrastanti — empatia e condanna, comprensione e rifiuto — e questa tensione rende il film non solo un resoconto di crimini, ma anche uno studio sulla vulnerabilità, sulla resilienza e sulle conseguenze della marginalizzazione sociale. La vicenda della Wuornos diventa così uno specchio delle ingiustizie, della violenza e della responsabilità personale in circostanze estreme.
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Emanuela Giuliani
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