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Buen Camino, recensione: tra comicità e riflessione sui valori

Buen Camino unisce comicità e riflessione sui valori, nel viaggio di Checco tra satira sociale, crescita personale e legami familiari.

Con Buen Camino, Checco Zalone e Gennaro Nunziante, a distanza di quasi un decennio, rinnovano una delle collaborazioni più riconoscibili del cinema comico italiano. Dopo una serie di film che hanno segnato record di incassi – da Cado dalle nubi a Quo vado? – il sodalizio artistico tra l’attore pugliese e il regista barese si è infatti imposto grazie alla formula fondata su personaggi grotteschi, comicità spinta all’eccesso e al paradosso, e una satira capace di colpire privilegi, ipocrisie e contraddizioni della società italiana.

Sesto film con Zalone protagonista, Buen Camino si inserisce perfettamente nel filone di questi successi e, pur mantenendo intatti i tratti tipici dello stile zaloniano e della commedia popolare, apre una riflessione più consapevole sulla dimensione interiore dei protagonisti. Il risultato è così un racconto che, senza rinunciare alla risata e alle battute pungenti, dona maggiore attenzione al senso della vita, ai legami familiari e al valore del cambiamento.

Crisi dei valori, responsabilità genitoriale e cammino come riscoperta

Buen Camino mette in scena una rappresentazione volutamente caricaturale di un’esistenza dominata dal lusso estremo e dal privilegio assoluto, costruendo l’immagine di una vita perfetta che, tuttavia, anziché generare felicità o realizzazione, produce immobilità esistenziale: Checco non desidera nulla perché non ha mai dovuto conquistare nulla.

Un’assenza di sacrificio che si traduce in un vuoto di valori, suggerendo una riflessione che abbraccia il rapporto tra genitori e figli, poiché la carenza di principi delle nuove generazioni non è altro che lo specchio delle mancanze degli adulti. I giovani, infatti, crescendo in un mondo in cui tutto è già dato, garantito e mediato dai genitori, faticano a riconoscere il valore di ciò che li circonda, e la ricchezza ostentata senza consapevolezza, di fronte a chi non può permettersi nulla, è il simbolo di una società che ha smarrito il senso del limite, della rinuncia e della responsabilità.

A tal proposito, il rapporto tra Checco e la figlia Cristal incarna in modo emblematico questa frattura generazionale, ma a parti invertite: Checco rappresenta la superficialità e il materialismo, mentre Cristal una generazione che tenta di comunicare agli adulti il bisogno di relazioni autentiche e di un dialogo vero e sincero. La sua fuga dal lusso e dall’alienazione di una vita basata sull’apparenza e sull’esibizione – amplificate dai social – è al contempo un rifiuto e una richiesta silenziosa di presenza, ascolto e riconoscimento, confermando come lo smarrimento dei giovani nasca dall’assenza degli adulti, e  come l’irresponsabilità dei figli sia il riflesso diretto di quella genitoriale.

Una mancanza che in Buen Camino è legata in particolare alla figura paterna. Checco non si è mai realmente riconosciuto come padre, perché non ha mai compreso fino in fondo cosa significhi esserlo, sostituendo l’affetto con il benessere materiale, ignorando di conseguenza che i figli non cercano soltanto protezione economica, ma modelli, valori e una figura in grado di guidarli nell’esperienza della crescita.

In questo senso, il Cammino di Santiago diviene centrale come percorso di riscoperta di sé, dei legami e dei valori fondamentali, con la fatica , l’essenzialità e la condivisione che obbligano i personaggi a confrontarsi con ciò che conta davvero, lontano dal consumo e dall’illusione, restituendo importanza al sacrificio, all’incontro e alla responsabilità.

La comicità: satira, contrasto e funzione critica

In Buen Camino, la comicità sta, ovviamente, nel contrasto tra il personaggio di Checco, abituato al comfort, all’immediatezza e alla logica del consumo, e l’ambiente del cammino, la cui fatica fisica, disagio e l’imprevisto di situazioni grottesche e paradossali, lo mettono costantemente alla prova, suscitando risate e smascherando le contraddizioni tra battute e allusioni.

Un umorismo che non è mai fine a se stesso, che colpisce una società in cui la semplificazione mediatica sostituisce sempre più l’impegno collettivo, facendo emergere temi come il divario sociale, l’esibizione della ricchezza in un mondo segnato da precarietà e disuguaglianze, e l’incapacità delle classi privilegiate di riconoscere i problemi reali di chi vive ai margini. Non risparmiando neanche la fede, il Cammino di Santiago si trasforma nell’occasione per interrogarsi sul bisogno di credere, di aprirsi all’altro e di affidarsi a qualcosa che va oltre il proprio controllo, contrapponendosi all’atteggiamento cinico e autosufficiente del protagonista, il cui rapporto con la figlia contribuisce sul piano comico, con da un lato un adulto che ha fatto del disimpegno una filosofia di vita, e dall’altro una giovane che sceglie la fatica come strumento di conoscenza di sé.

Un equilibrio tra leggerezza, satira e interrogativi spirituali, che conducono a una trasformazione autentica del personaggio di Checco, che non rinnega la propria natura ma mostra un lato più consapevole.

Crescita e consapevolezza: il cammino di Checco

Buen Camino, in conclusione, offre una riflessione sul valore del cambiamento e sull’importanza di accettare il sacrificio come parte fondamentale della vita. Attraverso il percorso di Checco, fatto di piccoli scarti interiori, prese di coscienza tardive e di un’ironia meno tagliente e più pacata, se così si può dire, rispetto a quella a cui fin ora eravamo abituati, e che potrebbe non piacere a tutti, il film mostra come la vera ricchezza non risieda nel possesso materiale, ma nella capacità di mettersi in cammino, aprirsi agli altri e riconoscere il valore dei legami umani. Una visione che mantiene le premesse iniziali senza stupire, divertente e al tempo stesso stimolante, capace di riflettere sulla responsabilità e sulla crescita personale.

Il Voto della Redazione:

6


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