La recensione di C’è ancora domani, esordio alla regia di Paola Cortellesi e apertura della diciottesima Festa del Cinema di Roma.
Film d’apertura della diciottesima edizione della Festa del Cinema di Roma, C’è ancora domani segna il sorprendente debutto alla regia di Paola Cortellesi, un’opera densa di coraggio e intensità che consacra l’attrice e sceneggiatrice come una delle voci più autentiche e potenti del panorama cinematografico italiano contemporaneo.
Ambientato nella Roma della seconda metà degli anni ’40, il film si presenta come un ponte tra epoche, raccontando una storia profondamente radicata nel contesto storico del dopoguerra ma capace di dialogare con le inquietudini e le sfide del presente. Al centro c’è la voce di una donna, Delia, e con lei quella di una generazione intera di donne spesso invisibili nei grandi racconti storici, ma protagoniste silenziose di una rivoluzione culturale lenta e inesorabile. Cortellesi intesse con maestria memoria e attualità, dolore e speranza, dramma e ironia, restituendo una prospettiva femminile ricca di sfumature e di forza senza tempo.
Un ritratto intenso di lotta e speranza
Nel cuore di C’è Ancora Domani pulsa una Roma autentica, fatta di vicoli stretti, cucine affollate, botteghe polverose e cortili intrisi di memoria, ed è in questo contesto popolare, duro e genuino, che prende vita Delia, magistralmente interpretata da Paola Cortellesi. Donna imprigionata in un matrimonio soffocante con Ivano (Valerio Mastandrea), uomo autoritario e vittima a sua volta di una mascolinità tossica, Delia è ulteriormente oppressa dal rigido controllo del suocero, il Sor Ottorino, emblema di una mentalità patriarcale profondamente radicata che permea ogni aspetto della sua esistenza.
Il film affronta con uno sguardo diretto e mai moralistico la realtà dell’oppressione femminile, mostrando la dolorosa routine fatta di silenzi, violenze domestiche e rinunce che segnano la vita di molte donne. Eppure, Delia non è solo una vittima: emerge come simbolo di una resistenza sommessa, un coraggio discreto e tenace che la spinge a cercare una luce anche nelle tenebre più fitte. Questa trasformazione trova impulso in una lettera misteriosa, che diventa catalizzatore di una nuova consapevolezza, aprendo una breccia di speranza non solo per lei, ma anche per sua figlia Marcella (Romana Maggiora Vergano) e, idealmente, per tutte le donne del suo tempo.
Ambientato nell’Italia degli anni Quaranta, in un momento storico cruciale in cui le donne si preparavano a votare per la prima volta, il film coglie con acutezza l’ambivalenza di questo gesto rivoluzionario: una conquista importante ma ancora insufficiente a scardinare subito un sistema patriarcale radicato e resistente al cambiamento. Una cornice storica che contribuisce ad amplificare il peso delle vicende personali, rendendo la storia di Delia al tempo stesso unica e universale.
La scelta del bianco e nero, vibrante e suggestiva, rende omaggio al neorealismo italiano di Rossellini e De Sica, così come alla figura leggendaria di Anna Magnani, evocata da Cortellesi con un’interpretazione intensa e autentica. La regia, sorprendentemente matura per un esordio, evita ogni estetismo fine a sé stesso, preferendo una messa in scena sobria e incisiva che restituisce con forza la fisicità e l’anima di luoghi e personaggi. La fotografia, basata su un contrasto deciso tra luce e ombra, diventa potente metafora visiva delle contraddizioni e dei conflitti interiori dei protagonisti, mentre i piani sequenza calibrati e i primi piani carichi di emozione coinvolgono profondamente lo spettatore.
Il cast si distingue per intensità e coesione: Mastandrea offre un ritratto complesso di un uomo spezzato, evitando i cliché per restituire una figura dolorosa e inquietante. Emanuela Fanelli, nel ruolo dell’amica Marisa, dona al film preziosi momenti di leggerezza e calore, creando spazi di respiro in una narrazione altrimenti carica di tensione. Vinicio Marchioni interpreta Nino, l’amore mai del tutto sopito, incarnando la malinconia di un’opportunità perduta ma sempre presente.
La sceneggiatura, frutto della collaborazione tra Cortellesi, Furio Andreotti e Giulia Calenda, rappresenta un equilibrio narrativo perfetto: dialoghi essenziali e densi di significato, silenzi carichi di tensione e simboli sapientemente distribuiti, dal seminterrato come prigione psicologica alla lettera che riaccende la speranza, fino alla radio che spalanca lo sguardo sul mondo esterno, arricchiscono la trama di molteplici livelli interpretativi, che emergono con forza a ogni nuova visione.
A più di settant’anni di distanza, la vicenda di Delia risuona con un’urgenza dolorosa e attuale: ancora oggi, troppe donne vivono nel silenzio e nella paura, molte altre lottano per risvegliare consapevolezze sopite, mentre figure come Ivano si ergono a padroni incontrastati.
Il film si conferma così potente e necessario, capace di emozionare, scuotere e stimolare una riflessione profonda su una presa di coscienza collettiva. Racconta una storia personale che diventa universale, un risveglio lento ma inarrestabile e profondamente femminista, priva di retorica o forzature ideologiche, che denuncia con limpidezza la violenza domestica, la rassegnazione quotidiana, il senso di colpa introiettato dalle madri e la rabbia silenziosa delle figlie. In un’epoca di grandi trasformazioni sociali, il film mette in luce la lentezza e la fatica di ogni cambiamento reale, sottolineando la resilienza di un sistema patriarcale ancora ben radicato.
Un esordio in conclusione C’è Ancora Domani, che afferma Paola Cortellesi non solo come interprete di rara sensibilità, ma anche come narratrice coraggiosa e lucida, capace di tessere un dialogo intenso tra passato e presente con una forza visiva ed emotiva straordinaria. C’è Ancora Domani ci lascia, tra luci e ombre, un messaggio di speranza e resilienza, ricordandoci con dolce e ostinata determinazione che, nonostante tutto, il domani esiste ancora.
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Emanuela Giuliani
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