L’action scifi di Cédric Jimenez chiude il Festival di Venezia, tante idee ma la declinazione è da rivedere.
La Mostra di Venezia 2025 saluta tutti con un film francese, un action fantascientifico diretto da Cédric Jimenez, che completa una trilogia sul potere e l’ordine. Peccato lo faccia con un film fiacco, poco appassionante, scritto in modo molto sufficiente e senza grande creatività, se non quella derivativa.
Una Parigi che diventa prigione di una IA
Venezia 82 ci saluta con Chien 51, di Cédric Jimenez, un viaggio in un futuro neanche tanto fantascientifico, ad alto contenuto politico, una distopia che a molti suonerà tristemente familiare rispetto all’attuale situazione internazionale. Protagonisti sono due agenti del corpo di polizia parigino, sempre più militarizzato: Salia (Adele Exarchopoulos) e Zem (Gilles Lellouche). Lei è un astro nascente, una pupilla del ministro dell’Interno (Romain Duris), fa parte delle forze che si occupano dei casi più importanti, lui invece è il classico piedipiatti cinico, usurato, solitario, con diversi problemi disciplinari. Tutto cambia nel momento in cui viene ucciso il CEO di un’azienda che ha costruito ALMA.
Trattasi di un’intelligenza artificiale che ha permesso di dare una stretta alla sicurezza interna e alla lotta alla criminalità attraverso algoritmi, droni armati, simulazioni virtuali. I cittadini però sono costretti ad indossare braccialetti identificativi, a seguire delle rigidissime regole, che si accompagnano ad un classismo sempre più opprimente, ad una diseguaglianza sociale che ormai è diventata una sorta di legge.
Contro tutto questo si scaglia un gruppo di ribelli, guidati da un misterioso leader (Louis Garrel), che con attentati, sabotaggi, si è guadagnato una certa fama e un grosso seguito presso la popolazione. Quell’assassinio però li fa finire sulla lista nera, sulle loro tracce si mettono Salia e Zem, ma in poco tempo, si rendono conto che non tutto è ciò che sembra che quell’omicidio non è stato ordinato da quei terroristi, che la faccenda è molto più complessa e infine inquietante.
Chien 51, tratto da un romanzo di Laurent Gaudé, è un film molto derivativo, forse anche troppo derivativo. Jimenez è un regista che ci ha abituato a qualcosa di un po’ più bilanciato e coerente, questo è un film che pare studiato esclusivamente per il piccolo schermo, ha un’anima molto televisiva, pur puntando ad essere una sorta di ritratto dell’era della post democrazia, quella in cui stiamo vivendo tutti quanti. La regia dinamica e accattivante non può compensare ai difetti di una sceneggiatura che, pigliando da tantissime fonti diverse, alla fine dall’impressione di non averne una propria. Il film tratta i suoi protagonisti in modo alquanto sgraziato, senza che ci si riesca veramente a trovare un senso in nessuno dei due.
Un’occasione persa con troppa leggerezza
Chien 51 prende molto dai capisaldi dell’animazione e del fumetto nipponico, ma non mancano citazioni anche al genere cyberpunk, alla fantascienza distopica più famosa, ai grandi narratori della controcultura, da Alan Moore a Frank Miller. Vorrebbe essere anche un grande omaggio all’action francese e assieme al noir moderno, ma ne ha solo la patina, l’apparenza. Dove risulta invece tremendamente convincente, è nella capacità di mostrarci un mondo reso una dittatura tecnologica, diviso in diverse zone, cosa che fa subito pensare ad Hunger Games, con una forza di polizia che più fascista di così non si potrebbe.
Exarchopoulos e Lellouche ce la mettono tutta, ma la metamorfosi dei loro protagonisti ci appare frettolosa. Lui però è un personaggio più convincente, il classico sbirro che aggira le regole, le piega, infine si troverà costretto a fare qualcosa di più; tuttavia, l’evoluzione della loro avventura, rimane soltanto dipinta sulle pareti, manca di profondità, da metà in poi la sceneggiatura è sostanzialmente bloccata, un motore in automatico.
Lo stesso World Building ci appare frammentato, è come se Il regista si accontentasse di proporci qualcosa di già visto piuttosto che farne un punto di partenza per uno sviluppo ulteriore. Forse il problema è che ormai la fantascienza distopica è stata così superata dalla nostra realtà, dal nostro quotidiano, da ciò che la politica ovunque sta creando, che soffre di una mancanza di propulsione e visioni artistica, un po’ come successo al genere cyberpunk all’inizio del XXI secolo.
Tutto sommato, Chien 51 è un film discreto, ma non più di quello, si dimentica 5 minuti dopo averlo visto, ed è abbastanza strano che in una rassegna, quella di Venezia 82, che ha riportato sicuramente in alto e non di poco la qualità complessiva, sia stato un filmetto così dimenticabile, e di così scarsa rilevanza, a venire scelto per chiudere. Perché al di là della regia, della prima parte, ma soprattutto delle buone intenzioni, Chien 51 è un film che non regge minimamente il confronto con ciò che ci sta arrivando sul grande schermo dalla Corea, dal cinema autoriale americano ed europeo, a tutti gli effetti pare quasi un fossile vivente, qualcosa che avrebbe potuto avere un senso un decennio fa, quando uscì In Time.
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Giulio Zoppello
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