Creed III, la recensione: Un Nuovo Inizio sotto la Direzione di Michael B. Jordan

La recensione di CREED III, il terzo capitolo della trilogia spin – off della celebre saga di Rocky, debutto alla regia di Michael B. Jordan.

Con Creed III, Michael B. Jordan non si limita a indossare ancora una volta i guantoni di Adonis Creed: si assume anche l’ambiziosa responsabilità di dirigere per la prima volta un film. Questo terzo capitolo, uscito in Italia il 2 marzo grazie a Warner Bros., rappresenta molto più di una semplice continuazione della saga spin-off di Rocky: è un vero e proprio punto di svolta, sia per il personaggio protagonista, sia per la direzione artistica della serie.

Dopo le intense sfide affrontate nei primi due film – culminate nel confronto con Viktor Drago, figlio dell’iconico Ivan – Adonis Creed si presenta al pubblico come un uomo realizzato: campione indiscusso, padre e mentore nella sua Delphi Boxing Academy. Tuttavia, Creed III evita saggiamente di adagiarsi sul consueto schema narrativo del ritorno in grande stile. Al contrario, Jordan opta per un tono più intimo e introspettivo, che approfondisce la psicologia del suo personaggio, svelando i traumi sepolti dietro la sua forza fisica e il suo successo pubblico.

Un elemento distintivo del film è l’assenza di Rocky Balboa: per la prima volta, Sylvester Stallone non compare né in scena né dietro le quinte come produttore. Questo vuoto, che avrebbe potuto diventare un punto debole, si trasforma invece in un’opportunità per Jordan di ridefinire la rotta della saga, spostando il baricentro narrativo su Adonis e sul suo percorso personale, libero da ingombranti eredità.

Il ritorno di Damian e la rinascita di Adonis

Creed III si apre in un momento di apparente stabilità per Adonis Creed. Ritiratosi dal ring, il campione ha trovato una nuova missione nella gestione della Delphi Boxing Academy, dove allena e guida la nuova promessa della boxe, Felix Chavez (José Benavidez). La sua vita sembra finalmente in equilibrio, divisa tra la famiglia e il suo ruolo di mentore, ma questo equilibrio viene bruscamente spezzato dal ritorno di Damian “Diamond” Anderson (Jonathan Majors), un amico d’infanzia scomparso da tempo e riemerso dal passato con il peso degli anni trascorsi in prigione.

Damian non è semplicemente un ex detenuto: è un uomo tormentato, un tempo considerato un prodigio del pugilato, la cui carriera è stata stroncata prima ancora di iniziare, il suo ritorno è animato da un misto di nostalgia, amarezza e desiderio di rivalsa. Damian non cerca solo un’opportunità sul ring: vuole riconquistare il tempo perduto e ciò che crede gli sia stato sottratto — compresa la vita che Adonis ha costruito. Quella che inizia come una richiesta d’aiuto si trasforma presto in una rivalità feroce, un confronto che affonda le radici nel passato condiviso e in colpe mai affrontate.

Per Adonis, la sfida con Damian rappresenta molto più di un combattimento sportivo, è una resa dei conti con i propri fantasmi, con le decisioni prese e con la versione di sé che ha lasciato indietro per diventare l’uomo che è oggi. Creed III scava in profondità nella psicologia del protagonista, costringendolo ad affrontare questioni fondamentali legate alla mascolinità, al senso di colpa, al perdono e alla capacità di elaborare il trauma. La lotta vera e propria si svolge nel suo animo, più che tra le corde del ring.

Michael B. Jordan, al suo debutto alla regia, imprime alla pellicola un’impronta più introspettiva rispetto ai precedenti capitoli della saga, la sua regia si distingue per l’attenzione ai dettagli emotivi, per la scelta di rallentare i ritmi quando necessario e lasciare spazio alla complessità dei personaggi. Il ring non è più solo un’arena per dimostrare forza fisica, ma diventa un luogo simbolico in cui si scontrano identità, valori, paure e desideri, e la tanto attesa “Battaglia per Los Angeles” assume dunque un significato profondamente metaforico: è la rappresentazione fisica di un duello interiore, di una riconciliazione necessaria ma dolorosa.

La performance di Jonathan Majors nel ruolo di Damian è intensa e stratificata, il suo personaggio è molto più di un antagonista: è il riflesso oscuro di ciò che Adonis avrebbe potuto diventare in circostanze diverse. La loro dinamica ricorda quasi quella di due fratelli separati dal destino, uniti da un passato comune e divisi da percorsi di vita contrastanti. Majors riesce a infondere a Damian una miscela di carisma e vulnerabilità, trasformandolo in un avversario tragico e umano, la cui rabbia è il risultato diretto di ferite mai guarite.

Il film abbandona così la retorica classica del bene contro il male per addentrarsi in una zona grigia molto più interessante, dove il conflitto principale è quello con se stessi. Creed III si fa portavoce di tematiche universali — il bisogno di riconoscimento, la ricerca di identità, il peso delle scelte e il potere del perdono — trattandole con una maturità narrativa che rappresenta un’evoluzione evidente per la saga.

Michael B. Jordan dimostra non solo sicurezza dietro la macchina da presa, ma anche un desiderio chiaro di rinnovare il linguaggio del franchise. Il suo Creed III è un’opera che guarda al futuro, che sa rompere con alcune convenzioni senza tradire lo spirito originario. Ogni pugno, ogni silenzio, ogni sguardo tra Adonis e Damian è carico di significato, trasformando il film in un racconto di crescita personale, di riconciliazione e, in ultima analisi, di liberazione.

In conclusione, la presenza di Damian Anderson eleva Creed III ben oltre il semplice sequel sportivo. È la chiave attraverso cui il film riesce a esplorare le ferite invisibili, quelle che solo il tempo, la consapevolezza e il coraggio di affrontarsi possono guarire. Adonis Creed, in questo capitolo, smette di essere soltanto un pugile: diventa un uomo in cerca di sé, disposto a scendere nell’arena della propria anima per trovare finalmente la pace.

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Emanuela Giuliani

Il Voto della Redazione:

7


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