Cyrano, la recensione: sogno o menzione, ma un sogno è sia menzione che verità

Cyrano, la recensione: sogno o menzione, ma un sogno è sia menzione che verità

“Si dice che la luce sia l’anima di un luogo sacro”

La luce è l’amor che muove il mondo nella pellicola di Jo Wright, quella stessa luce che attraversa l’architettura barocca e ne espande le linee e le sinuosità, tessendo fili come il regista che, provenendo da una famiglia di burattinai, dimostra di sapersi muovere all’interno di uno spazio quasi teatrale, come quello dell’epoca di Rostand o dei grandi romanzi storici.

Joe Wright più volte si è avventurato nella trasposizione cinematografica di opere letterarie, da Jane Austen a Lev Tolstoj, a Ian McEwan, fino al giorno d’oggi, con la commedia in cinque atti di Edmond Rostand.

Ma di fronte ad un’opera monumentale come “Cyrano” la domanda che si pone è questa: può esistere Cyrano senza il suo naso leggendario?

Il regista ne è talmente convinto da portare in scena un musical che ha come protagonista Peter Dinklage, l’epico Tyrion Lannister de “Il trono di spade”. Un Cyrano non dotato dunque di lungo naso, che sostituisce con il nanismo a voler comunque rimarcare una “mostruosità fisica” che lo rende insicuro in amore e vigliacco nel mostrare i propri sentimenti, nonostante il suo animo e le sue parole siano in grado di sovvertire l’ordine apparente.

La pellicola mette in chiaro tutto fin da subito, con una meravigliosa scena d’apertura ambientata a teatro, in cui la nobiltà imbellettata, imparruccata e dalle gote dipinte di rosso cortese, si trova ad assistere ad una rappresentazione ad opera di un attore vuoto e pomposo, emblema dell’epoca. Tutto è messo in scena come un quadro d’autore, giocando con gli acquerelli, inizialmente tenui e via via più accesi, come accesi diventano i toni con l’ingresso di Cyrano de Bergerac, il più grande spadaccino di Francia, soldato e poeta di fine intelletto. Un incipit che apre una riflessione sulla cultura del periodo e sul ruolo fondamentale di Roxanne, che non è una damigella da salvare, ma una donna forte della sua cultura e dalle idee chiare, in un momento storico in cui quasi tutte le ragazze di nobili origini studiavano il pianoforte e leggevano romanzi di spessore e il popolo andava a teatro, aperto a tutti, contadini e conti.

Anche l’amore era cosa ben diversa da oggi, era fremito, palpito emozione, sussulto, era ragione di vita, una ragione che poteva trovare espressione solo in poesie interminabili e rapiti brividi del cuore.

Un lungometraggio che rielabora i caratteri che hanno reso celebre l’opera di Rostand, ne sposta la geografia, scegliendo come luogo d’elezione per le riprese la Sicilia e la sua architettura barocca, ne rielabora i costumi, ad opera di Massimo Cantini Parrini, essenziali nelle linee, dai colori sgargianti e tessuti impalpabili come il vento e trova nuovi spunti nei dialoghi, dove un bacio non è un apostrofo rosa, ma tremore, impeto e turbamento, con una rilettura moderna e ancor più travolgente.

Una pellicola centrica, che ruota attorno al ruolo dell’amore, quello “Sturm un Drang” di romantica memoria, un amore che provoca dolore, ma è anche salvifico, nonostante il monito della governante “i bambini hanno bisogno d’amore e gli adulti di soldi”.

Peter Dinklage e Haley Bennet, già protagonisti a teatro sempre con la sceneggiatura di Erica Schmidt, si ritrovano anche sul set insieme al terzo incomodo Ben Mendelsohn ed a Kelvin Harrison Jr.

Una fotografia a lume di candela firmata Seamus McGarvey, che segue la sensualità nei corpi e negli sguardi, attraverso primi piani che indagano le profondità dell’animo umano e una luce che diventa sfondo e ombra che ne accentuano i contrasti e la plasticità.

L’amore si mostra nella sua veste di compassione e sacrifici, come quelli che acconsente di compiere Cyrano nei confronti di Christian de Nouvellette, il giovane cadetto su cui ha posato gli occhi Roxanne, ma ha il suo più grande nemico nell’orgoglio, espresso da Cyrano, in grado di sconfiggere 10 nemici in un agguato, ma incapace di confessare i suoi sentimenti a lei così bella da confinarlo in ruolo che non lascia scampo, quello del migliore amico. Una vera dichiarazione d’amore all’amore quella di Wright, in cui la diversità estetica sembra cedere il passo alla bellezza interiora, che però si rivela vuota e sterile senza un animo capace di mostrare le sue molteplici sfumature, esplorando le profondità di un sentimento sincero.

In questo ruolo Peter Dinklage/ Cyrano, riesce a declinare il tormento e l’estasi in quelle molteplici sfumature, le stesse che compongono i quadri scenici, che virano dal grigio, al blu all’ocra, come se la storia venisse dipinta e raccontata attraverso le mutazioni di colore, che sembrano esprimere le declinazioni dell’animo umano. Una scenografia ispirata ai quadri di Delacroix e in primis di Watteau, pittore triste nell’epoca del lusso dal tratto elegante ed etereo.

Una Haley Bennet dal sapore antico, dall’incarnato e dalla chioma tizianesca, divorata da sospiri e fremiti, ma contemporanea nel suo essere pretenziosa, e nel cercare quel sussulto che muove il cuore e lascia senza respiro. Quell’amore che si cela dietro le parole di Christian, quel “rivale” a cui Cyrano accetta di prestare il proprio cuore, la propria anima e la propria penna, per conquistare l’amata.

“Il mio destino è amarla da lontano”

Un triangolo amoroso, tra Christian, Cyrano e Roxanne, condannato dalla bramosia del conte De Guiche “un tiranno in guisa di nobile” magistralmente interpretato da Ben Mendelsohn, che vuole fare sua Roxanne ad ogni costo.

Una battaglia d’amore che diventa reale e cruenta nella guerra sui campi innevati dell’Etna, che si trasforma per un attimo nella Francia del 1600, tra livree, fucili e cannoni.

Un musical quasi inavvertito, dove la prosa è prevalente anche se l’amore è espresso attraverso il canto e ornato da coreografie simboliche ed ipnotiche, in grado di ammaliare come la danza che volteggia nel vento, aiutate dalla bellezza dei meravigliosi dintorni della città di Noto, scelta perchè è “uno dei luoghi più romantici che si possa immaginare”.

Una prima parte che sembra urlare la meraviglia del barocco e che si fa silente nell’ultimo atto, per lasciare spazio al minimalismo, un minimalismo che si avverte anche nel canto dove protagonista non è la scena, ma i sentimenti, quell’amore che muove il mondo ma sa essere implacabile.

“Piena di te è la curva del silenzio” – Pablo Neruda

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Chiaretta Migliani Cavina

 

 

Il Voto della Redazione:

8


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