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DOLOR Y GLORIA, la recensione del nuovo film di Pedro Almodovar

“DOLOR Y GLORIA” – Recensione: il nuovo film di Pedro Almodovar al cinema dal 17 maggio ed in concorso a Cannes 2019 

In concorso al Festival di Cannes, attualmente in corso, Pedro Almodovar approda nelle sale cinematografiche il 17 maggio con l’atteso nuovo, estremamente intimo film, “DOLOR Y GLORIA”, chiusura di una trilogia iniziata ben trentadue anni fa con “La Legge del Desiderio” e “La Mala Educacion”, tutti con al centro della scena dei registi cinematografici.

Salvador Mallo, un impeccabile Antonio Banderas, è un veterano cineasta che ha perso il senso della vita a causa dei molteplici disturbi fisici da cui è affetto, che gli impediscono di realizzare nuovi lavori.

La miscela di farmaci che assume, unita alla dipendenza dall’eroina, fanno si che trascorra la maggior parte della giornata in uno stato di dormiveglia e completamente in balia della depressione, che lo porta ad osservare, e ripercorrere, da un diverso punto di vista, la propria esistenza.

Dall’infanzia negli anni ’60 a Paterna nella provincia di Valencia, caratterizzata dalla forte figura materna, dal volto giovane di una sentita, ed apprensiva, Penelope Cruz e, alla fine sei suoi giorni, da una più arida e dura Julieta Serrano, che ne evidenzia il conflittuale rapporto, all’impulso del primo desiderio a 9 anni, alla vista delle nudità del giovane muratore interpretato dal debuttante César Vincent, così intenso da fargli perdere i sensi.

Per proseguire con l’amore, mai dimenticato, vissuto da adulto nella Madrid degli anni ’80, con Federico, passando per il dolore relativo alla fine del rapporto con quest’ultimo nel vivo del sentimento, all’inaspettato incontro dei due a distanza di trent’anni, inseguito all’ascolto del monologo, in piccolo teatro, scritto da Salvador, in cui Federico riconoscerà ogni singolo momento della storia d’amore passata. Fino alla scrittura come unica terapia per superare l’indimenticabile e la scoperta del cinema, quando i film venivano proiettati su un muro imbiancato all’aperto, e che Salvador sente la necessità di raccontare trovando la salvezza da quel profondo baratro del vuoto esistenziale.

Un percorso, quello affrontato e mostrato dal due volte premio Oscar, estremamente e palesemente, almeno in buona parte, autobiografico, dove, grazie ad una narrazione e rappresentazione scenica, fluida in cui non si avverte la distanza temporale, le memorie dei ricordi, che hanno inevitabilmente segnato il suo animo, s’intrecciamo e fondono l’una all’altra, toccando ed avvolgendo sensibilmente quello dello spettatore.

Emozioni proprie che Almodovar trasmette e permette di percepire, assaporare ed assimilare lentamente e nel profondo, in un mix di dolce e amara nostalgia, che stupisce, coinvolge e commuove, curando, racchiudendo e bilanciando ogni elemento, pubblico e privato, di questo strabiliante, trepidante, potente, riflessivo ritratto di se stesso, dalle tinte delicate e dai contorni ben definiti, tornando finalmente a splendere ed incantare come non mai.

Emanuela Giuliani

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Il Voto della Redazione:

8


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