Dumbo, la recensione: il volo tra emozioni, diversità e riscatto del live-action diretto dal visionario Tim Burton.
Dal 28 marzo torna sul grande schermo uno dei personaggi più amati del mondo Disney: Dumbo, il piccolo elefantino volante. Diretto da Tim Burton e distribuito da Walt Disney, il film è una rilettura in chiave live action del classico d’animazione del 1941, un’opera che riesce a fondere la visione artistica del regista con i sentimenti senza tempo della storia originale. Con una sceneggiatura firmata da Ehren Kruger, questa nuova versione si arricchisce di sfumature inedite, mantenendo però intatta l’essenza del racconto.
La vicenda prende il via con il ritorno dalla guerra di Holt Farrier (interpretato da Colin Farrell), un tempo acrobata del circo, ora uomo segnato nel corpo e nell’anima. Tornato a casa, Holt scopre che nulla è più come prima: ha perso la moglie, il lavoro e parte della propria identità. A prendersi cura di lui e dei suoi figli, Milly e Joe, è il direttore del circo Max Medici (Danny DeVito), il quale gli affida un compito insolito: occuparsi della nuova arrivata, un’elefantessa che ha appena dato alla luce un cucciolo dalle orecchie straordinariamente grandi. Quel piccolo essere, inizialmente deriso e isolato, si rivelerà ben presto speciale.
Sono proprio Milly e Joe a scoprire che il piccolo Dumbo ha un dono eccezionale: può volare. Questa scoperta attira l’attenzione del potente e spietato impresario Vandevere (Michael Keaton), che convince Medici a portare Dumbo a “Dreamland“, un futuristico parco dei divertimenti dove il cucciolo dovrebbe diventare la principale attrazione. Ma dietro l’apparente brillantezza del nuovo circo si celano inganni, sfruttamento e un’anima molto più oscura di quanto sembri.
Questa nuova versione di Dumbo si distingue non solo per l’aspetto visivo, curato nei minimi dettagli con l’ausilio di effetti digitali all’avanguardia, ma soprattutto per la sensibilità con cui vengono trattati alcuni temi universali. Burton, da sempre affascinato dagli outsider, riesce a dare al racconto un’impronta personale, affrontando con delicatezza argomenti come la diversità, l’esclusione e la ricerca di un posto nel mondo.
Uno dei messaggi più forti del film riguarda il rispetto per gli animali. Il regista stesso, in occasione della conferenza stampa italiana, ha dichiarato la sua avversione verso lo sfruttamento degli animali nei circhi, sottolineando come nessuna creatura debba essere costretta a comportamenti contrari alla propria natura. Questa visione emerge chiaramente nel corso della narrazione: Dumbo diventa un simbolo di resistenza contro un sistema che mercifica e opprime in nome dello spettacolo.
Le emozioni, nel film, si leggono soprattutto attraverso gli occhi del piccolo protagonista. Dumbo non parla, ma riesce a comunicare in modo profondo grazie allo sguardo dolce e malinconico. Tim Burton ha spiegato di aver cercato una forma espressiva semplice ma intensa per il personaggio, scegliendo di trasmettere il suo mondo interiore attraverso le sue espressioni visive. Il risultato è commovente: quegli occhioni azzurri sanno evocare compassione, speranza, tristezza e gioia in un modo autentico e universale.
Dal punto di vista musicale, spicca la delicata interpretazione di Elisa della celebre “Bimbo mio”, che accompagna alcune delle scene più toccanti del film. Il brano, nel suo arrangiamento moderno ma rispettoso dell’originale, accentua la carica emotiva della storia, rendendola ancora più coinvolgente.
I personaggi umani, ben delineati, arricchiscono la narrazione con le loro vicende personali. Ognuno porta con sé una ferita, una perdita o un desiderio di riscatto, creando un parallelo con la solitudine e la resilienza di Dumbo. La dinamica tra Holt e i suoi figli, ad esempio, riflette il bisogno di ricostruire un nucleo familiare dopo la guerra e il lutto. Dreamland, invece, si fa metafora di un mondo moderno, patinato ma vuoto, dove il valore dell’individuo si misura solo in base alla sua utilità.
Tra le scene più affascinanti c’è quella degli “elefanti rosa”, rivisitazione psichedelica della famosa sequenza del classico animato. Burton la trasforma in un’esibizione onirica, ispirandosi agli spettacoli di strada con le bolle di sapone. La scelta di eliminare altri elementi, come la controversa scena dei corvi, dimostra il desiderio di attualizzare la storia, eliminando contenuti ormai fuori tempo.
L’intero film è permeato da un’atmosfera nostalgica ma mai pesante, che riesce a coniugare la semplicità della fiaba con riflessioni più mature. Il ritmo è bilanciato, la narrazione fluida, e la regia di Burton evita eccessi, preferendo un approccio più misurato rispetto ad altre sue opere.
Infine, il regista, in occasione della promozione del film, ha espresso il suo legame con il cinema italiano, rivelando di sentirsi onorato nel ricevere il David alla Carriera dalle mani di Roberto Benigni. Un riconoscimento che premia non solo la sua lunga carriera, ma anche la sua capacità di raccontare con originalità il lato fragile e autentico della diversità.
Dumbo non è solo un remake: è una rivisitazione affettuosa e consapevole, capace di parlare a tutte le età, grazie a una storia senza tempo che invita a credere in sé stessi, a lottare per la libertà e a guardare oltre le apparenze. Un film che, pur volando su ali digitali, riesce a lasciare un’impronta vera nel cuore dello spettatore.
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Emanuela Giuliani
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