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Duse, la recensione: un ritratto sincero dell’ultima Duse

Pietro Marcello porta all’82esima Mostra del Cinema di Venezia Duse con protagonista Valeria Bruni Tedeschi.

Tra i film più attesi dell’82esima Mostra del Cinema di Venezia, Duse di Pietro Marcello si distingue per la scelta coraggiosa di riportare sullo schermo una figura femminile tanto affascinante quanto sfuggente: Eleonora Duse. Considerata una delle più grandi attrici teatrali italiane, amata in patria e all’estero tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, la Duse è stata un’artista che ha rivoluzionato il modo di recitare. Non amava il divismo, rifiutava i riflettori e recitava in modo sommesso, sottraendo invece di esagerare. Una donna che ha fatto del silenzio e dell’interiorità la sua cifra stilistica, diventando simbolo di libertà e integrità artistica.

E ora Pietro Marcello, regista già apprezzato per film come La bocca del lupo e Martin Eden, torna al Lido con un’opera che si discosta dal racconto biografico tradizionale, in Duse infatti non c’è la cronaca di una vita, ma il tentativo di restituire l’anima di una donna, il suo sentire più profondo. Marcello utilizza immagini d’archivio, materiali girati in pellicola, elementi pittorici e un montaggio non lineare per creare un flusso di sensazioni più che una narrazione vera e propria. Il suo sguardo è poetico e personale, capace di evocare invece di spiegare, di suggerire invece di raccontare tutto per filo e per segno.

L’essenza oltre il mito

Il film si concentra sugli ultimi anni della vita dell’attrice, tra il 1917 e il 1923. È un periodo in cui la Duse, dopo un lungo ritiro dalle scene, torna a recitare in un’Italia attraversata dalla guerra, dai conflitti sociali e dalle prime avvisaglie del fascismo. Non è più l’artista celebrata dei tempi d’oro: è una donna segnata dalla malattia e dal peso della vita, che tuttavia continua a cercare nella recitazione un senso, un appiglio. La Duse che ci viene mostrata è vulnerabile, contraddittoria, solitaria, ma anche profondamente viva.

A interpretarla è Valeria Bruni Tedeschi, in una delle sue prove più sentite. Lontana da ogni imitazione, l’attrice costruisce un personaggio intenso, fatto di nervi scoperti, malinconia e forza trattenuta. La sua interpretazione è fatta di pause, sguardi, respiri: non recita Duse, ma la abita, la attraversa restituendola con partecipazione autentica.

Attorno a lei ruotano figure fondamentali della sua vita. La figlia Enrichetta (interpretata da Noémie Merlant), con cui i rapporti sono tesi, e l’ombra ancora presente di Gabriele D’Annunzio (Fausto Russo Alesi), ormai lontano, ma mai davvero assente. La malattia, una tubercolosi che avanza, è l’altra presenza costante, ma proprio mentre il corpo si indebolisce, qualcosa si riaccende nella mente dell’attrice: un desiderio di ritornare a vivere attraverso il teatro. Questo risveglio interiore è il filo che tiene insieme il racconto, mentre tutto intorno si muove un Paese attraversato da tensioni politiche e da cambiamenti profondi.

Il film tocca anche la trasformazione culturale di quegli anni: la diffusione del cinematografo, il cambiamento del gusto del pubblico, la progressiva marginalizzazione del teatro, e Marcello inserisce questi elementi senza forzature, lasciandoli emergere come correnti sotterranee. La colonna sonora elettronica firmata da Marco Messina, Sacha Ricci e Fabrizio Elvetico accompagna con decisione queste transizioni, alternando passaggi lirici ad altri più spigolosi, in linea con l’instabilità emotiva della protagonista.

Tuttavia, Duse non è privo di sbavature. La sceneggiatura, firmata dallo stesso Marcello insieme a Guido Silei e Letizia Russo, in alcuni momenti appare sbilanciata, e i rapporti tra la protagonista e i personaggi secondari, pur importanti, restano talvolta abbozzati, senza trovare uno sviluppo completo. Il film sembra voler rappresentare la frammentazione dell’epoca e della mente della Duse, ma questa scelta comporta anche un rischio: quello di allontanare parte del pubblico, che potrebbe faticare a seguire un racconto così rarefatto e poco lineare. In particolare, alcune sequenze dedicate alle relazioni personali mancano di incisività, lasciando l’impressione che non tutto sia stato approfondito come meritava.

Eppure, nonostante queste fragilità, il film regge, e lo fa soprattutto grazie alla forza della protagonista. Valeria Bruni Tedeschi, con la sua recitazione tesa e irregolare, a volte persino spigolosa, tiene insieme il tutto, il suo volto inquieto, il suo sguardo sempre in movimento, restituiscono con sincerità il tormento e la lucidità di una donna che non ha mai voluto essere un’icona, ma semplicemente un’artista fedele a se stessa. È lei, con i suoi nervi scoperti, a dare al film quella verità che la sceneggiatura a tratti smarrisce.

La presenza oltre che un’icona

Duse non è un film per tutti, ma è un’opera che merita attenzione. Pietro Marcello sceglie una via difficile, fatta di immagini, emozioni e frammenti, rinunciando al racconto lineare per inseguire qualcosa di più profondo. Non ci racconta la vita di Eleonora Duse, ma ce ne riconsegna la presenza, il tormento, il desiderio, è un film che respira, che si muove con lentezza e che chiede allo spettatore di accettare un altro ritmo, più interiore che narrativo.

Il ritratto che ne emerge è quello di una donna libera, fiera, fragile, che nel tramonto della sua vita trova ancora la forza di salire su un palco. Marcello non la santifica, ma la guarda con rispetto e compassione, e in questo sguardo c’è forse la cosa più bella del film: la capacità di restituirci un’artista non come leggenda, ma come essere umano.

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Emanuela Giuliani

Il Voto della Redazione:

7


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