Leonardo Di Costanzo, con Elisa porta all’82esima Mostra del Cinema di Venezia, il peso della colpa e la possibilità di redenzione.
Nei film di Leonardo Di Costanzo (L’intervallo, 2012; L’intrusa, 2017; Ariaferma, 2021), regista e sceneggiatore due volte David di Donatello, ci sono prima di tutto le atmosfere, che immergono lo spettatore in un mondo e in una dimensione penetrante, pervasiva e immediatamente foriera di sensazioni. Elisa, il suo nuovo film, presentato in Concorso alla 82ª Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia e al cinema dal 5 settembre con 01 Distribution, non è da meno e trasporta nella realtà di una detenuta, Barbara Ronchi, colpevole di un omicidio terribile e tragico.
Il film, tratto dal saggio “Io volevo ucciderla” dei criminologi Adolfo Ceretti e Claudia Natale, descrive una storia vera, quella di una donna che si macchia dell’omicidio della sua stessa sorella. Leonardo Di Costanzo e gli sceneggiatori Valia Santella e Bruno Oliviero ne rielaborano il racconto in funzione di una storia che affronta i temi della colpa, della pena e dell’assunzione di responsabilità.
Non è facile riflettere e soprattutto prendere una posizione rispetto ad argomenti delicati come quelli affrontati dal film di Di Costanzo. Qual è la giusta condanna per crimini terribili che privano le persone dei loro affetti più cari? È possibile e corretto contemplare anche un percorso di riabilitazione del condannato? Queste domande e molte altre ad esse connesse, che coinvolgono inevitabilmente sentimenti di orrore e vendetta, ma anche di pena e pietà, implicano riflessioni che si dipanano su un piano etico, umano e giuridico in cui nessuna soluzione sembra poter offrire una risposta universalmente accettabile.
In questo senso Elisa è un film che non intende offrire risposte semplicistiche, ma presentare una possibilità, raccontare e analizzare da un punto di vista estremamente umano una situazione tragica e delicata senza indugiare nell’orrore o nel moralismo.
Dopo Ariaferma, con Elisa Leonardo Di Costanzo torna sul tema delle carceri, ma questa volta la prospettiva è completamente diversa rispetto al film precedente. Qui al centro del racconto c’è la colpa osservata e sentita non in funzione di una vendetta o di una punizione ma come strumento di trasformazione.
Elisa, interpretata eccellentemente da Barbara Ronchi che ne restituisce sguardi intensi, a volte inquietanti a volte commuoventi, sempre carichi di grande profondità, è una donna reclusa in un centro di riabilitazione per detenute colpevole dell’omicidio di sua sorella, di cui lei però dice di non ricordare nulla. Quando un criminologo, Alaoui, interpretato dal francese Roschidy Zem, le propone di partecipare alle sue ricerche, in un dialogo teso e inesorabile i ricordi iniziano a prendere forma in lei e nel dolore Elisa comincia ad accettare la propria colpa e intravede, forse, il primo passo di una possibile redenzione.
Il film conduce così in un percorso drammatico, fatto di dolore, verità e finzione, in cui osservando il tortuoso cammino interiore di Elisa siamo portati a riflettere sul senso di colpa, sulla necessità di affrontare la verità e farsi carico delle responsabilità. L’obiettivo è quello della riabilitazione del colpevole che se da un lato appare necessario dall’altro, se osservato dal punto di vista delle vittime, continua a porre l’interrogativo di quanto sia giusto. Una prospettiva incarnata dal personaggio di Valeria Golino, in quanto madre di un ragazzo innocente assassinato.
Nel complesso Leonardo Di Costanzo, con gli sceneggiatori Valia Santella e Bruno Oliviero, riesce a mantenere questo fragilissimo equilibrio narrativo tra la negatività di un personaggio colpevole e lo sguardo che si posa sulla sua umanità, tra condanna e speranza di salvezza.
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Vania Amitrano
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