Eternals, la recensione: la svolta etica del Marvel Cinematic Universe

Eternals, la recensione: la svolta etica del Marvel Cinematic Universe

“La vita non offre momento migliore che proteggere la propria famiglia”

Nati dalla penna di Jack Kirby nella seconda metà degli anni 70, gli “Eterni” segnarono il rientro in Marvel di quest’ultimo, una visionaria saga fantascientifica che spiega le origini di tutta l’umanità e di ogni forma vivente.

Nella pellicola presentata in anteprima alla Festa del Cinema di Roma, diretta e co-sceneggiata dalla regista premio Oscar Cloe Zhao, gli eterni infatti vengono introdotti come creature di Arishem, un celestiale che ha creato l’universo per come lo conosciamo, ed il cui scopo è quello di inviarli sulla terra per combattere la minaccia cosmica dei Devianti, predatori alieni che cacciano tutti gli abitanti del pianeta.

Jack Kirby per dare loro vita aveva attinto alla mitologia di civiltà diverse e la Zhao ha accontentato i canoni hollywoodiani, formando un gruppo multirazziale, multilingue e rispettoso di ogni minoranza, ecco allora Gilgamesh/Don Lee che non può essere che indiano, mentre Ajax, Aiace è in questo caso donna e dal volto di Salma Hayek, poi c’è Makkari/Lauren Ridloff, Mercurio, qui sordomuta, Sersi Circe, interpretata da una straordinaria Gemma Chan, Thena, Atena, la versione svuotata di Angelina Jolie e ultimo, ma non ultimo, Ikaris, Icaro, Richard Madden, tutti nomi che derivano dalla grecia classica.  E ancora Phastos/Brian Tyree Henry, Druig/Barry Keoghan, Kingo/Kumail Nanjiani, e Sprite/Lia McHugh.

Ai guerrieri “immortali”  viene proibito di intervenire nelle faccende umane lasciando che questi imparino da soli dai propri errori, ma aiutandoli a progredire ponendosi come fonte di ispirazione. La storia arriva ai giorni nostri, con gli Eterni che ormai vivono da oltre 5000 anni sulla terra, in attesa di poter rientrare sul loro pianeta natale Olympia e terminare così la loro missione. Ma una mutazione evoluta dei Devianti appare improvvisamente e mette Sersi, Sprite e Ikaris in moto per riformare la vecchia squadra e combattere il nuovo male che avanza. Continui salti temporali, che passano dall’antica Babilonia alla Dakota del Sud, ci mostrano cosa hanno fatto i personaggi sulla terra durante i secoli e le connessioni tra loro. Ma poi lo script si complica, chiamando in causa il libero arbitrio dei supereroi-robot, con un vago riferimento a “Blade Runner”, che determina la loro rivolta contro un Creatore che, per tenere fede ai propri disegni, è disposto a liquidare tranquillamente l’intera umanità. Quella stessa umanità che dopo Thanos si è stretta in un solo schiocco ed ha riportato tutti indietro.

“Quando ami qualcosa la proteggi, è la scelta più naturale del mondo”

Ed ecco la novità, le guerriere che si ribellano allo stato di fatto sono tutte donne, e l’universo Marvel non solo accoglie la prima supereroina sorda, ma anche il primo supereroe gay. Assistiamo ad un percorso che li porta a riscoprire la propria natura intima e il loro rapporto con l’umanità e con se stessi, attraverso un racconto più maturo, che abbraccia la filosofia e un nuovo concetto teologico, ma che lascia meno spazio alla caratterizzazione dei personaggi ed alla fine introduce poche novità, se non nella messa in scena.  Anche il personaggio di Makkari sembra aggiunto solo per la sua esclusività, ma è relegato a pochissime scene nel progetto, come il geniale Phastos del resto, che entrato in crisi dopo la bomba atomica, ha scelto la sicurezza di una famiglia arcobaleno.

L’unico a brillare per la sua divertente innovazione è Kingo, uno dei millenari eterni sotto copertura, che è diventato una vera star di Bollywood: canta, balla e quando entra in azione porta sempre con sè il suo fidato maggiordomo, incaricato di filmarlo ovunque vada. Kingo rappresenta, come altri interventi, il vero punto di forza della pellicola, l’ironia che sa accendere il racconto, con soluzioni che non sono mai fuori luogo o fuori contesto, anzi stemperano efficacemente l’atmosfera, troppo rarefatta in molti punti.

Il diritto di scegliersi una propria famiglia e vita era una tematica alla base dell’intero progetto di “Guardiani della galassia”, che grazie alla loro narrazione surreale offrono lo spunto per essere ancora più credibili nelle loro intenzioni. Mentre in “Eternals” la pellicola offre per tutta la mastodontica durata la stessa intensità, senza colpi di scena, complice anche la colonna sonora, piatta e scontata, tranne nell’apertura, con ‘Time’ dei Pink Floyd nei titoli di testa.

Anche gli effetti visivi non eccellono, abbastanza posticci soprattutto nei devianti, unica eccezione i poteri dei personaggi, visivamente accurati e d’effetto. Di deriva autoriale Zhao invece sono le ambientazioni, con la bellezza naturale in primo piano e la passione per i grandi tramonti che dominavano “Nomadland”. Peccato aver perso in questo caso, a causa del montaggio serrato tipico MCU con scene di durata minima, i lunghi piani sequenza caratteristici della regista, come il modo di riprendere i personaggi e il contesto “alla Malick”, anche qui relegato a pochi attimi di felicità.

“La verità ci renderà liberi”

Un cast mastodontico ed impegnativo per un film che non segue pedissequamente l’universo dei fumetti, come invece hanno fatto i suoi predecessori, ma che è costretto a cercare connessioni con il mondo MCU, inserendosi in un meccanismo ben oliato e seminando i germi di futuri sviluppi, come il personaggio di Kit Harington, the Black Knight, ancora nei panni di un normale cittadino.

Un’opera indubbiamente corale, che ha smarrito la sua autorialità tra sussulti ecologici, redenzioni filosofiche e forse troppa carne al fuoco, sopra tutti la tanto attesa scena post credits, e quindi non rimane che augurarci che non sia questo il caso di molto rumore per nulla.

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Chiaretta Migliani Cavina

 

Il Voto della Redazione:

6


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