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Father Mother Sister Brother, la recensione: la famiglia in tre atti di Jim Jarmush

Father Mother Sister Brother, la famiglia in tre atti secondo Jarmusch tra silenzi, legami spezzati e fantasmi emotivi.

Father Mother Sister Brother, presentato in concorso alla 82ª Mostra del Cinema di Venezia, segna il ritorno in grande stile di Jim Jarmusch,  uno dei registi più iconici e riconoscibili del cinema indipendente americano: autore di opere come Stranger Than Paradise, Dead Man, Broken Flowers e Paterson, è noto per il suo stile minimalista, l’ironia rarefatta e un profondo interesse per i margini dell’esistenza. Le sue storie spesso si muovono lentamente, tra personaggi alienati, silenzi pieni di senso e atmosfere sospese.

Dopo qualche anno di silenzio creativo, il regista torna con un’opera intensa, malinconica, a tratti sferzante, che parla della famiglia con un linguaggio visivo potente e una sensibilità che alterna distacco e commozione. Father Mother Sister Brother è un affresco in tre episodi che, pur nella loro discontinuità, riescono a raccontare molto del nostro tempo e dei nostri legami, offrendo uno sguardo lucido e struggente sulla fragilità dei rapporti familiari.

Tre episodi, una famiglia frammentata

Jim Jarmusch costruisce il film come un trittico, in cui ogni episodio è autonomo ma legato agli altri da un filo tematico e visivo sottile ma coerente. Tre nuclei familiari, tre luoghi differenti, tre registri emotivi, tutti accomunati da una riflessione amara e profonda sulla famiglia come luogo di incomunicabilità e ferite non rimarginate. Lo stile visivo è essenziale e riconoscibile: cromatismi freddi, fotografia spigolosa, skater ripresi in slow motion come figure fantasmatiche che attraversano le vite dei protagonisti, e un uso del silenzio che si fa linguaggio espressivo tanto quanto, se non più, delle parole.

Il primo episodio è forse il più compiuto e memorabile. In una campagna gelida e isolata, Tom Waits interpreta un padre anziano che riceve la visita dei suoi due figli (Adam Driver e Mayim Bialik). I tre si ritrovano dopo anni di distanza, apparentemente per una riconciliazione, ma l’atmosfera si carica presto di tensioni sotterranee. Jarmusch lavora per sottrazione: i silenzi si fanno lunghi e pesanti, i dialoghi impacciati, gli sguardi evitanti. Le inquadrature sono statiche, come quadri familiari in cui ogni dettaglio suggerisce un passato irrisolto. È un episodio sull’inganno delle apparenze, sull’ipocrisia del legame di sangue, e sulla manipolazione affettiva. Tom Waits è magnetico: si muove tra malinconia e sarcasmo con una leggerezza disarmante, dominando la scena con un carisma dolente.

Il secondo episodio vira verso un tono più sofisticato, quasi teatrale. Charlotte Rampling, Cate Blanchett e Vicky Krieps sono madre e figlie, imprigionate in un salotto borghese che diventa trappola emotiva. Il registro è più verbale ma non meno teso: ogni gesto è controllato, ogni sorriso contiene una ferita. Jarmusch guarda alla commedia europea degli anni Settanta, e semplice tè pomeridiano si trasforma in un campo minato di recriminazioni e ferite mai sanate. La violenza è tutta emotiva, e si consuma nei silenzi, negli sguardi sfuggenti, nella distanza fisica che sottolinea quella affettiva.

Il terzo episodio è il più fragile narrativamente, ma chiude con coerenza il discorso del film. Luka Sabbat e Indya Moore sono due fratelli che vagano per una Parigi spettrale, cercando di fare i conti con la perdita dei genitori. È un episodio fatto più di atmosfera che di trama, dove la malinconia si fa protagonista, e se i dialoghi risultano meno incisivi, resta la tenerezza con cui i due protagonisti si aggrappano l’uno all’altro, cercando di ricostruire un senso di appartenenza. In fondo, è questo che Jarmusch sembra suggerire: anche quando la famiglia si frantuma, qualcosa resta – un gesto, uno sguardo, un ricordo – a tenerci in piedi.

Colori, corpi e silenzi nel mondo di Jarmusch

Jarmusch costruisce un’estetica coerente e raffinata: il rosso, il viola, il blu punteggiano la pellicola con una coerenza visiva che accompagna i cambi di tono, delineando un universo sospeso tra sogno e realtà. Questi colori non sono scelti casualmente: evocano stati d’animo, memorie, atmosfere, e diventano parte integrante del racconto. Il blu suggerisce malinconia e distanza, il rosso passione e violenza trattenuta, il viola un senso di mistero e ambiguità emotiva.

Gli skater, presenti in ogni episodio, sono una vera e propria metafora della precarietà dell’esistenza. Le loro traiettorie fluide e sfuggenti simboleggiano le vite che si sfiorano senza toccarsi davvero, le persone che entrano ed escono dalla nostra quotidianità lasciando solo tracce evanescenti. Come fantasmi urbani, attraversano lo schermo ricordandoci l’impossibilità di fermare il tempo o trattenere chi ci scivola via.

L’umorismo nero, sempre presente ma mai invadente, fa da contrappunto al dolore e alla disillusione che attraversano i racconti. Jarmusch, come suo solito, decostruisce la commedia borghese americana, svuotandola dall’interno e mettendone a nudo le crepe: famiglie disfunzionali, relazioni ipocrite, dialoghi pieni di silenzi e sottintesi. Tuttavia, dietro questo cinismo solo apparente, si percepisce una struggente nostalgia per un mondo perduto, per una sincerità emotiva che sembra scomparsa. Un desiderio silenzioso di connessione, fragile ma ancora possibile.

Il peso leggero delle cose vere

Father Mother Sister Brother si muove sul filo sottile tra tenerezza e disincanto, tra malinconia e satira. Jim Jarmusch non reinventa sé stesso, ma affina il suo sguardo, restando fedele alla sua poetica fatta di silenzi eloquenti, immagini dense di significato e ironia sotterranea. Pur con qualche passaggio meno riuscito, il film è una riflessione potente sulla famiglia come istituzione in crisi, come luogo di finzione, ma anche come ultimo rifugio emotivo.

E’ un Jarmusch sincero, ispirato, lucido, e soprattutto che, in mezzo a tanto rumore, riesce a parlare piano, ma con forza, lasciando allo spettatore un senso profondo di rimpianto e consapevolezza.

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Emanuela Giuliani

Il Voto della Redazione:

7


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