Giffoni 2022: Gabriele Mainetti: “Giffoni è un posto speciale e prezioso”

Giffoni 2022: Gabriele Mainetti: “Giffoni è un posto speciale e prezioso”

Fattore umano. Il segreto del successo di Gabriele Mainetti sta lì dentro. Nella viscerale spontaneità del suo biglietto da visita in carne, cuore e ossa. E nel vaso di Pandora che rompe con la potenza del suo talento artistico per liberare la straordinarietà dell’essere: unico nelle differenze e doppio per origine che tiene insieme bene e male, luce e ombra in un continuo gioco di equilibri, sovrapposizioni e sopraffazioni reciproche nello spettacolo naturale della vita, reale e fantastico allo stesso tempo. Il regista italiano, firma di Lo chiamavano Jeeg Robot” e “Freaks Out” ma anche attore, sceneggiatore e produttore è stato il protagonista di un appassionato confronto con i giffoner nella Sala Verde della Multimedia Valley.

Ai giurati il quarantaseienne romano ha subito dedicato parole importanti: “È una emozione vedere tanti giovani che amano il cinema. Giffoni è un posto speciale e prezioso. Grazie a luoghi come questo, grazie ai sentimenti che animano questi ragazzi il cinema non morirà mai”. Le ragioni di questa consapevolezza sono esogene ma anche endogene. Le osserva, gli appartengono. “Per me il cinema è un evento speciale” – ha detto Mainetti – “Ho sempre pensato e cercato questo tipo di cinema, ed è anche quello che provo a fare. Per lasciare il divano di casa e andare a guardare un film in sala devi avere una ragione speciale”. Il cinema, appunto. “Oggi vive sicuramente un momento di difficoltà” – ha proseguito.

La pandemia ha penalizzato il settore paralizzando l’attività delle sale. Le piattaforme on demand ne hanno immediatamente approfittato. Ma è solo una fase di passaggio. Il cinema vissuto in sala è una straordinaria esperienza immersiva. Unica. Inarrivabile”.

Mainetti è laureato in Storia e Critica del Cinema presso l’Università degli Studi Roma Tre. Nel 2016 ha ricevuto il premio come miglior regista esordiente al Nastri d’Argento proprio per “Lo chiamavano Jeeg Robot”. “Ho pensato di non riuscire più a ripetere quel successo. La paura di non riuscirci non me la sono scrollata di dosso per molto tempo. Mi sentivo smarrito. Quando camminavo da solo per strada parlavo coi semafori” – ha scherzato con i giurati del Festival.Da questa fragilità, però, è nata la forza della consapevolezza. Mi sono messo con determinazione e convinzione al lavoro su Freaks, che doveva durare dodici mesi di riprese ma che ha coperto il doppio del tempo. Sono davvero soddisfatto del risultato. Siamo riusciti a fare un grande lavoro grazie a una squadra formidabile”. Mainetti ha spiegato che “in questo lavoro conta l’intuizione. Guai a reprimere il processo creativo”.

Ma ha anche sottolineato che “bisogna imparare a controllare la creatività“. Questo perché il talento” ha affermato citando il musicista britannico Peter Gabriel “conta al cinque per cento. Il resto dipende dal lavoro”. Sul dono del talento il regista italiano si è spinto oltre. In profondità: “Ognuno di noi è un talento. Il ‘grande segreto’ sta proprio dentro ognuno di noi. È ciò che siamo autenticamente. Certo, abbiamo tutti bisogno di maestri. E’ necessario e importante studiare, formarsi, farsi ispirare dai grandi della storia del mondo e trarre insegnamenti da loro. Ma la nostra unicità fa la differenza. Nei miei film ho sempre messo quello che sono”. La sua cifra personale finisce sul proscenio: “Ho una doppia anima, come tutti. Come i personaggi dei miei film. Persone semplici, umanissime, inserite in contesti fantastici. La bellezza è il vero superpotere”. Il tema della cinquantaduesima sono gli invisibili. Mainetti lascia le parole libere di rincorrere le emozioni: “Per tutta la vita mi sono sentito invisibile. Anche adesso. E’ un sentire che appartiene, in questo senso, alla condizione umana. Entri ed esci dalla invisibilità ripetutamente. Io me ne tiro fuori attraverso l’amicizia. L’esistenza umana” ha concluso” non ha senso se non la condividi con gli altri”.

La Redazione


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