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Good Boy, la recensione: il terrore visto da chi ci protegge

Good Boy, l’horror rivelazione raccontato dal punto di vista di un cane, un thriller sensoriale che unisce empatia e terrore quotidiano.

Cosa succede quando il punto di vista del classico horror viene completamente ribaltato e, al posto dell’eroe umano, ci ritroviamo a seguire le orme, o meglio, le zampe, di un cane? Good Boy, sorprendente opera prima del regista e sceneggiatore Ben Leonberg, ci porta in un territorio inesplorato e affascinante: quello della paura percepita, non raccontata. Un horror sensoriale tanto tenero quanto inquietante.

Nato da un cortometraggio realizzato dallo stesso Leonberg, Good Boy è un film indipendente e low-budget che ha conquistato la critica e il pubblico al SXSW Film & TV Festival 2025, diventando un piccolo caso cinematografico. Un progetto realizzato in tre anni con un’idea potentissima al centro: raccontare la tensione e il terrore attraverso gli occhi, le orecchie e il naso per l’appunto di un cane.

Ma attenzione, Good Boy, film d’apertura della XXIII edizione di Alice nella città, sezione autonoma e parallela della Festa del Cinema di Roma, non è il classico film con un animale protagonista. Non ci sono siparietti comici, scene strappalacrime o scorciatoie emotive, al contrario, è un’opera che usa la figura del miglior amico dell’uomo per indagare la dimensione più profonda e istintiva della paura in modo sorprendente.

L’incredibile sesto senso degli animali

Il cuore pulsante di Good Boy è un’idea tanto semplice quanto brillante. Il protagonista, Indy, che è anche il cane reale del regista, è il nostro unico punto di riferimento per tutta la durata del film, una scelta radicale, ma anche incredibilmente efficace per costruire un senso inusuale di angoscia crescente, che si insinua lentamente sotto la pelle dello spettatore.

Ma Good Boy è anche, e forse soprattutto, la storia di un legame viscerale, profondo, che va oltre il comprensibile: quello tra un cane e il suo padrone. Indy non è solo una presenza silenziosa, ma un’anima fedele, pronta a tutto pur di proteggere chi ama. In ogni sguardo che rivolge al suo umano, c’è un amore che non ha bisogno di parole, un istinto di protezione che si manifesta con la forza di un sentimento antico, quasi sacro. Anche quando l’orrore si insinua tra le mura domestiche, Indy rimane lì, saldo, come un guardiano silenzioso.

Leonberg e il co-sceneggiatore Alex Cannon partono da una domanda inquietante: perché i cani fissano certi angoli della stanza? Perché si rifiutano di entrare in un seminterrato o abbaiano nel nulla, nel cuore della notte? Forse, come suggerisce il film, vedono e sentono qualcosa che noi non possiamo percepire, e il loro sesto senso li mette in contatto con qualcosa che esiste appena sotto la superficie della nostra realtà, e quando percepiscono il pericolo, non scappano: restano, lottano. Amare per loro significa sacrificarsi, se necessario, anche se la paura non arriva da un mostro in piena luce, ma si annida nel dettaglio fuori posto, nel suono che sfugge, nella stanza apparentemente vuota, che nasce dal quotidiano, da casa nostra, e proprio per questo è ancora più efficace.

Good Boy è un vero e proprio thriller domestico dell’anima, dove l’orrore si manifesta nella routine, con la regia che lavora con intelligenza su questa prospettiva. Molti dei piani sono girati all’altezza del cane, portando lo spettatore a vedere il mondo dal basso, da una posizione di vulnerabilità e sorpresa. I movimenti della macchina da presa sono spesso nervosi, istintivi, come lo sguardo di un animale che percepisce un pericolo in arrivo. I rumori, amplificati o distorti, diventano strumenti di racconto, e ogni fruscio, ogni porta che cigola, ogni passo fuori campo ha un significato.

Leonberg dimostra una padronanza sicura, soprattutto considerando che si tratta della sua prima regia, alternando con precisione i momenti di tenerezza silenziosa in cui Indy osserva il suo padrone, che si muove nella casa, che cerca protezione, a scatti improvvisi di tensione, senza mai cedere al facile spavento o al jump scare gratuito.
Il film sottintende che, se davvero esiste qualcosa oltre ciò che vediamo, allora probabilmente anche gli animali hanno un’anima, e in quella di un cane, c’è spazio per un amore che sa riconoscere il pericolo, affrontarlo e, se serve, combatterlo fino alla fine. Un legame invisibile, eppure indissolubile.

Suggestione visiva e senso di minaccia

In Good Boy tutto è ridotto all’essenziale per lasciare spazio all’atmosfera. La fotografia, curata con toni freddi e luci soffuse, accentua la sensazione di isolamento. Nelle stanze si ha sempre l’impressione che manchi qualcosa o qualcuno, e che quel qualcosa o qualcuno sia ancora presente, nascosto appena fuori dalla vista.

La colonna sonora si limita a pochi suoni ambientali e frequenze disturbanti, che aumentano l’angoscia invece di alleviarla, e il montaggio, firmato dallo stesso Leonberg, crea un ritmo imprevedibile che tiene lo spettatore in allerta.

Ma la forza del film sta soprattutto nella scelta di non umanizzare mai Indy, che non parla e non ha pensieri esplicitati. Non è un personaggio nel senso classico: è semplicemente un cane, la cui presenza riesce a trasmettere emozioni forti, rafforzando l’idea di un mondo in cui ciò che fa paura non è fuori da noi, ma attorno e dentro.

Un horror diverso, che lascia il segno

Good Boy, in conclusione, è un racconto di empatia profonda, un thriller esistenziale che parla della paura in modo nuovo, attraverso una lente inedita, la cui efficacia risiede nella sua essenzialità. Non servono infatti grandi effetti o colpi di scena per tenere alta l’attenzione, basta un cane che guarda nel vuoto, e noi, da spettatori, inizieremo a vedere quello che vede lui.

Ben Leonberg firma un esordio coraggioso e originale, che dimostra come anche un progetto indipendente, se guidato da una visione chiara, può competere con i grandi del genere. Good Boy è un film che cambia la percezione di ciò che ci circonda, e ci spinge a guardare con occhi nuovi anche il nostro animale domestico. Perché forse, mentre noi cerchiamo di ignorare ciò che ci fa paura, loro lo vedono, e ci proteggono, in silenzio.

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Emanuela Giuliani

Il Voto della Redazione:

8


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