Dal per sempre al per dispetto ne I Roses, il rifacimento della celebre commedia cult del 1989 La guerra dei Roses.
A volte il cinema promette una storia d’amore capace di farci battere il cuore come la prima volta; altre, ci mostra il lato oscuro dei sentimenti, quello in cui l’amore si consuma fino a trasformarsi in guerra, e non c’è dubbio che La guerra dei Roses, classico cult della commedia nera del 1989, appartenga con orgoglio a questa seconda categoria.
Diretto da Danny DeVito, che oltre a dirigere vestiva anche i panni dell’avvocato-narratore, il film – tratto dal romanzo di Warren Adler – raccontava la distruzione progressiva e spietata del matrimonio tra Barbara e Oliver Rose, interpretati magistralmente da Kathleen Turner e Michael Douglas, coppia iconica del cinema anni ’80.
Una satira feroce dell’istituzione matrimoniale, che all’epoca suscitò clamore e consensi, diventando rapidamente un punto di riferimento per il genere, e la cui eredità, ora, a oltre trent’anni di distanza, Jay Roach — già dietro successi comici come Austin Powers, Borat e Ti presento i miei — raccoglie e rilancia in chiave contemporanea con I Roses, con la premio Oscar® Olivia Colman e il candidato all’Oscar® Benedict Cumberbatch nei ruoli di Ivy e Theo, una coppia apparentemente perfetta che ha tutto: successo professionale, figli adorabili e una casa da sogno.
Ma quando la carriera di Theo comincia a sgretolarsi e quella di Ivy a decollare, la frustrazione si trasforma in rabbia, e la rabbia in una lotta senza esclusione di colpi. Come accadde ai loro predecessori cinematografici, anche i nuovi Roses si ritrovano al centro di una battaglia domestica feroce, dove l’amore si è ormai trasformato in un campo di battaglia fatto di sarcasmo, dispetti e colpi bassi, con ambizioni divergenti e un rancore che lentamente lacera il loro legame.
Finchè crisi non ci separi
“Una volta nella vita capita un film che ti fa sentire come se ti innamorassi di nuovo per la prima volta. Questo non è quel film.”
Più che un remake, I Roses è una rivisitazione pungente, intelligente, attuale e consapevole della commedia nera di DeVito e dei rapporti di potere all’interno della coppia moderna. Non ne ricalca i toni grotteschi né le dinamiche distruttive, ma aggiorna le tensioni più sottili, velenose e spesso invisibili dietro le relazioni apparentemente “perfette”.
Nel film di Jay Roach, la lotta tra Ivy e Theo va oltre il piano personale e diventa il simbolo dello scontro tra il desiderio di affermare se stessi e la necessità di trovare compromessi; tra le aspettative legate ai ruoli all’interno della famiglia e le nuove libertà conquistate; tra la volontà di mantenere una propria identità e la fragilità che nasce dall’essere parte di un “noi”.
Se nel 1989 la crisi dei coniugi Roses metteva in scena la disgregazione della famiglia borghese tradizionale, I Roses ci mostra una coppia che sembra aver superato certi stereotipi: lei è brillante, indipendente e determinata; lui è sensibile e attento, ma si ritrova intrappolato in nuovi equilibri alimentati da frustrazioni e sensi di colpa mai confessati né elaborati, e uno degli aspetti più laceranti del film è proprio il senso di colpa per aver trascurato i figli. Entrambi i protagonisti, infatti, riversano sull’altro le proprie mancate responsabilità, trasformando ogni dialogo in un confronto dove l’amore non basta più a coprire il rumore delle accuse, e l’ironia diventa un mezzo di difesa, un’arma tagliente per difendersi e colpire.
Cumberbatch e Colman sono assolutamente perfetti nel dare corpo a queste sfumature complesse: ogni battuta al vetriolo è un colpo preciso, ogni silenzio pesa quanto un urlo, ogni risata contiene una verità che fa male. Il film rinuncia allo scontro fisico e impattante del suo predecessore, preferendo la battaglia emotiva ben più insidiosa, fatta di distanze emotive, sguardi mancati e parole trattenute, evitando la trappola del compiacimento, con un secco e disilluso humor inglese, composto nella forma ma pungente come quello del film originale.
Con brillantezza e umorismo nero, il film mostra come, nonostante i cambiamenti nei rapporti tra uomini e donne, gli attriti profondi restino spesso nascosti. Carriera, genitorialità e immagine pubblica diventano nuovi campi di battaglia, carichi di aspettative e pressioni difficili da sopportare, con il pungiglione che attraversa ogni scena simbolo di un’intimità consumata ma ancora capace di scintille, anche se dolorose.
Non è solo il racconto di una separazione, ma una danza di frecciate e piccole devastanti vendette. Ivy e Theo non si abbandonano, ma si smontano a vicenda con crudele eleganza, non urlano né rompono piatti, ma distruggono l’uno l’autostima dell’altra, sempre con un bicchiere di vino in mano e un sorriso tirato.
I Roses non si limita a scavare nel disfacimento, ma suggerisce, con sobrietà e senza retorica, una possibilità di salvezza. Una possibilità che non nasce dalla concessione forzata né dall’eliminazione del conflitto, ma dalla sincerità brutale, dall’abbassare le difese e dal dire finalmente la verità su ciò che si è perso, fallito e desidera ancora. È parlando — rivelando le delusioni personali più meschine o imbarazzanti — che qualcosa, contro ogni aspettativa, può iniziare ad aggiustarsi, non tutto, forse, ma abbastanza da riaprire uno spiraglio quando tutto sembra irrecuperabile.
Il risultato è una riflessione su come il fallimento delle relazioni sia una battaglia in cui vince chi resiste più a lungo. La tensione cresce scena dopo scena, con un coinvolgimento più mentale che viscerale, capace di creare una certa distanza ma anche molte domande. È una storia di chi ha cercato di tenere in piedi qualcosa che stava crollando; di chi si è perso nel tentativo; e forse di chi ha trovato il coraggio di fermarsi e parlare, magari ridendo insieme, prima che fosse davvero troppo tardi.
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Emanuela Giuliani
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