I tre moschettieri: D’Artagnan, la recensione del nuovo adattamento

La recensione de: I TRE MOSCHETTIERI: D’ARTAGNAN, la prima parte del nuovo adattamento del celebre classico della letteratura.

Quando si prende in mano una storia che è entrata nella coscienza collettiva di un paese, diventando una sorta di mito fondatore, bisogna prestare attenzione. La prima ragione per farlo è che, con ogni probabilità, è stata già raccontata più volte, in ogni epoca dalla sua prima pubblicazione. La seconda è che dovrebbe subentrare la necessità di giustificarne un’altra rilettura, contestualizzata nella modernità ma preservandone l’autenticità.

Oltre 40 versioni cinematografiche e televisive de I tre moschettieri si sono susseguite da quando Alexandre Dumas ne scrisse la prima, nel 1844. D’Artagnan, spavaldo giovanotto della Guascogna, è stato interpretato da Gene Kelly, Jean-Paul Belmondo, Douglas Fairbanks, Michael York e infiniti altri. Adesso la storia di Dumas torna in patria grazie al regista Martin Bourboulon, che scinde il romanzo in due parti: la prima, I tre moschettieri – D’Artagnan, è già in sala. Per Milady, seconda parte girata in contemporanea, dovremo aspettare: il 13 dicembre sarà distribuito in Francia.

La trama de I tre moschettieri: D’Artagnan

Charles D’Artagnan (Francois Civil), giovane guascone, si reca in Francia per seguire il suo sogno, che è quello di diventare un moschettiere al servizio del re. Una notte, mentre è affaccendato nella sua stalla, delle urla e alcuni colpi di arma da fuoco attirano la sua attenzione e lo portano all’esterno: qui, nella piazza, si accorge che una donna ha bisogno di aiuto, ma è proprio quando accorrerà in soccorso che verrà colpito lui stesso da un proiettile. Il giovane viene seppellito nel più vicino bosco, ma D’Artagnan non è morto per davvero: per questo riemergerà dalla terra e comincerà a indagare su quale ragione vi sia dietro l’agguato. Nella ricerca, D’Artagnan s’imbatte in tre moschettieri: sono Athos (Vincent Cassel), Aramis (Romain Duris) e Porthos (Pio Marmaï), che dopo un iniziale contrasto si uniranno a lui contro un nemico comune: le guardie del cardinale Richelieu.

Una bella confezione che contiene ben poco

La storia non finisce qui, ovviamente. Tanti sono gli intrecci che fanno progredire la narrazione verso altri punti, non sempre di scioglimento: quella raccontata è, anzi, una storia a incastro dentro un’altra storia, in cui ogni complotto ha senso logico se si allarga l’inquadratura e si comprende che ogni personaggio è pedina di un gioco più grande. D’Artagnan non è lo scopo, bensì il mezzo.

Matthieu Delaporte e Alexandre de la Patelliére sono sceneggiatori piuttosto chiari nel costruire questa intricata rete di eventi che convergono l’uno nell’altro e presentano ogni volta un personaggio nuovo, che sarà mai centrale ma sempre indispensabile: come Constance Bonacieux (Lyna Khoudri) e la Anna d’Austria (portata splendidamente in scena da Vicky Krieps) che regala il suo totem d’amore al Duca di Buckingham (Jacob Fortune-Lloyd), oggetto che diverrà capitale nello svolgimento dei fatti.

Tutto sembra al suo posto, in questa ennesima versione de I tre moschettieri, eppure tutto sembra anche scivolare via senza tumulti e senza lasciare traccia: è croce e delizia di un film che ha i suoi momenti riusciti – come molte scene in cui è presente la Milady De Winter di Eva Green, ad esempio, e il suo primo incontro con l’Athos di Cassel – ma che, pur senza annoiare e regalando scene d’azione ben girate e un racconto tutto sommato spedito, non riesce a trovare la sua identità.

I tre moschettieri di Bourboulon non si risparmia nel budget per restituire attraverso i costumi, le ricche scenografie, la direzione di una fotografia morbida e sul basso contrasto, la regia virtuosa e fluida (talvolta, forse, un po’ manieristica), la verosimiglianza in vicende che risiedono nell’equilibrio fra realtà storica e finzione. Tuttavia, a mancare è la dimensione umana dei moschettieri stessi.

Le licenze che ci si è concessi rispetto alla fonte originaria sono inserite in modo da risultare spontanee, eppure sembra quasi che non costituiscano aggiunte in grado di arricchire il testo di partenza o di caratterizzarlo meglio nell’epoca attuale. Risulta inoltre facile maturare un interesse per i destini della regina e per il background di Milady, ma i protagonisti che occupano la maggior parte del tempo sullo schermo finiscono per essere oscurati da personaggi secondari più affascinanti e personificati (oltre che scritti) in modo più convincente.

L’impressione finale è che I tre moschettieri: D’Artagnan si preoccupi molto della sua confezione ineccepibile e ben curata, e molto poco della sostanza che ha permesso al romanzo di Dumas di preservarsi intatto e sempre più amato da un pubblico che cambia costantemente, attraverso i decenni.  

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Federica Cremonini

Il Voto della Redazione:

6


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