Con If I Had Legs I’d Kick You, Mary Bronstein firma una tesa e disturbante commedia drammatica che affonda senza sconti nell’ansia, nella vergogna e nell’impotenza della maternità. Il film, presentato in anteprima al Sundance Film Festival di quest’anno, è il secondo lungometraggio della sceneggiatrice e regista dopo Yeast (2018), e segna una decisa conferma del suo sguardo radicale e personale.
Protagonista è Rose Byrne, in una delle prove più intense e acclamate della sua carriera. Interpreta una terapeuta che scivola progressivamente in una spirale di disperazione mentre la sua vita le sfugge di mano: il senso di colpa per la misteriosa malattia della figlia, la scomparsa di una paziente, un marito emotivamente assente e persino il proprio terapeuta – interpretato da Conan O’Brien – che sembra volerla abbandonare, contribuiscono a un crescendo febbrile di perdita di controllo. Nel cast figurano anche Danielle Macdonald, Christian Slater, A$AP Rocky e Delaney Quinn.
Il film, di cui grazie a Deadline potete leggere la sceneggiatura qui: IF I LEGS I’D KICK YOU, ha raccolto riconoscimenti fin dalla sua presentazione a Park City. Bronstein ha ottenuto nomination ai Gotham Awards per sceneggiatura e regia, mentre Byrne è reduce dalla vittoria dell’Orso d’Argento come Migliore interprete al Festival di Berlino ed è stata candidata come Migliore attrice ai Golden Globe, ai Critics Choice Awards, ai Gotham Awards e agli Spirit Awards, oltre a numerosi premi della critica.

Bronstein ha dichiarato che l’idea del film nasce dalla sua esperienza personale di madre alle prese con la malattia in famiglia. Pur non essendo autobiografico nei fatti, If I Had Legs I’d Kick You è, nelle sue parole, “emotivamente accurato”: un ritratto a tratti ironico ma più spesso claustrofobico di una donna che sente di non essere mai abbastanza, in nessun ruolo della sua vita. Centrale, per la regista, era mostrare con precisione come si manifestano l’ansia e la vergogna materna, emozioni che – come ha sottolineato – raramente vengono rappresentate in modo così diretto al cinema.
Per arrivare a questo risultato sono stati necessari sette anni di sviluppo della sceneggiatura. “Sentivo davvero il bisogno di fare questo film”, ha raccontato Bronstein. “Avevo una visione a tunnel e, onestamente, era l’unico modo per riuscirci”. Il risultato è un’opera scomoda, vibrante e profondamente onesta, che trasforma il disagio emotivo in materia cinematografica viva e pulsante.






