Assayas con Il mago del Cremlino porta sullo schermo il potere russo visto da dentro, ma l’affresco politico resta freddo e distante.
Nasce dall’omonimo romanzo dello scrittore italiano Giuliano Da Empoli, professore di politica comparata all’Istituto di studi politici di Parigi, Il mago del Cremlino (Le Mage du Kremlin), il nuovo film in Concorso alla 82ª Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia del francese Olivier Assayas, già vincitore per la Miglior regia al Festival di Cannes nel 2016 con Personal Shopper. Il mago del Cremlino vede protagonista Paul Dano, affiancato da Alicia Vikander, Jude Law e Jeffrey Wright e sarà prossimamente al cinema con 01 Distribution.
Per avere un’idea dell’impianto de Il mago del Cremlino è necessario partire dall’opera che lo ha ispirato, un cosiddetto “romanzo a chiave” (roman à clé), cioè un genere letterario storico o politico che narra di personaggi e fatti realmente accaduti, ma camuffati sotto nomi fittizi o descritti con l’alterazione di diversi dettagli in modo che l’opera appaia di fatto come un romanzo di finzione.
Il film, scritto dallo stesso Olivier Assayas con Emmanuel Carrère, non solo prolifico autore per il cinema e la letteratura ma anche discendente di una famiglia russa, ricalca la struttura del romanzo di Da Empoli. Il mago del Cremlino segue la storia, narrata in prima persona, di Vadim Baranov, l’uomo che partito dal mondo dello spettacolo in una Russia in piena rinascita negli anni ’90, da giovane artista d’avanguardia e poi prolifico produttore di programmi tesevisi divenne il più stretto collaboratore di Vladimir Putin, colui che sarebbe stato poi soprannominato “lo zar” di Russia.
Il personaggio di Vadim Baranov è basato su Vladislav Surkov, imprenditore e politico russo, che dal settembre del 2013 divenne consigliere personale di Vladimir Putin soprattutto nei rapporti con Abcasia, Ossezia del Sud e Ucraina. Olivier Assayas immagina che sia lui stesso a raccontare ad un giornalista la propria storia da un rifugio clandestino dopo aver abbandonato la scena politica.
Nel film Baranov rivela con generosità la propria storia partendo dai primi anni in cui era uno studente desideroso di affermarsi nel mondo delle arti performative nei primi anni ’90 in una Russia carica di aspettative e avida di novità dopo il crollo dell’Unione Sovietica. La sua ascesa rapida lo porta a diventare presto un produttore televisivo che non si fa scrupolo rispetto alla qualità dei programmi che propone purché rispondano ai più bassi desideri di pancia delle masse.
Il suo acume gli torna subito utile quando entra in politica per affiancare la candidatura di un ex agente del KGB in ascesa: Vladimir Putin, un raggelante Jude Law. Imperturbabile, serafico, brillante, il Baranov di Paul Dano è un uomo che non nasconde una propria etica, ma che chiarisce da subito di essere sempre stato disposto a venire a patti con essa pur di raggiungere successo e potere. Lo fa come produttore televisivo e applicando lo stesso metodo lo fa anche come consigliere di Putin.
Da quel momento il racconto di Baranov, sempre pacato e quasi asettico, si sviluppa toccando tutti i punti salienti dell’ascesa di Putin fino alla sua affermazione come “zar” di Russia. Baranov è capace di scorgere gli interessi, anche quelli più bassi, di un popolo percepito come una massa di spettatori e di offrire loro ciò che sembra prima di tutto soddisfare le aspettative più immediate e basilari. Questa sua indole ben si aggancia alla capacità di Putin di rispondere agli eventi con rigida fermezza e con nette polarizzazioni semplicistiche.
Dalla crisi in Cecenia alla guerra di Crimea, Baranov non sempre condivide le opinioni dello “zar” ma in ogni circostanza riesce ad appoggiarne e realizzarne le intenzioni. In questo senso Il mago del Cremlino diventa un ritratto di quella che è stata la disposizione di un intero Paese di fronte all’ascesa di un uomo che di fatto, nel pieno del suo processo di liberalizzazione, lo ha riportato alla rigidità del passato sovietico.
Non sono i soldi ad interessare i russi, dice Baranov, ma la prossimità al potere ed è questa che ha favorito un sistema deviato che non ha consentito al Paese di riuscire a sviluppare una propria libertà. La sua è un’analisi dettagliata in cui gli eventi descritti attraverso la lente dei suoi ricordi ricalcano la realtà storica senza però dare una rilettura dei fatti, perché tutto resta arginato entro i confini della sua asettica e algida riflessione.
Il mago del Cremlino è quindi un interessante viaggio, tutto americano (va detto), in un Paese le cui dinamiche ancora oggi sfuggono ai più. Eppure, una volta accettato il patto narrativo per cui tutti i personaggi, sebbene russi in Russia, parlano un americano fluente, tranne alcuni in alcune situazioni in cui paradossalmente si sente biascicare un americano sporcato dalla cadenza russa, resta sempre viva la sensazione che la verità sia stata solo sfiorata.
È un film tratto da un romanzo a chiave, lo abbiamo detto, e per questo è naturale che si conceda più di una libertà narrativa, che tuttavia dispiace e leva forse un certo coinvolgimento o entusiasmo verso la storia. Ascoltare la rilettura di una storia personale, che tanta importanza potrebbe avere nella comprensione della Storia reale, portata avanti con un verboso voice over insistito, induce ad un distacco sempre forte dai fatti narrati. Nulla di personale, nulla di veramente universale sembra emergere dal resoconto ampio ma freddo del Baranov di Paul Dano. Più efficaci sono invece le seppur brevi comparizioni di Jude Law convincente nei panni di Putin.
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Vania Amitrano
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