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Il Mago di Oz: tra sogno, mito e cinema

Il Mago di Oz, tra il sogno, il mito e il cinema dell’indimenticabile capolavoro del 1939 diretto da Victor Fleming.

Il Mago di Oz (The Wizard of Oz), diretto da Victor Fleming, prodotto dalla Metro-Goldwyn-Mayer nel 1939 e tratto dal romanzo omonimo di L. Frank Baum del 1900, è una pietra miliare della storia del cinema per l’uso innovativo del Technicolor, per l’immaginario fantastico che ha saputo creare e per l’indimenticabile interpretazione di Judy Garland nel ruolo di Dorothy.

A oltre ottant’anni dalla sua uscita, Il Mago di Oz continua ad affascinare spettatori di ogni età, inserendosi nel solco della grande tradizione narrativa occidentale: un viaggio iniziatico, un’eroina che attraversa un mondo incantato per ritrovare la strada di casa, incontri con figure archetipiche e una riflessione profonda sui valori dell’amicizia, del coraggio e dell’identità, che si presta a molteplici livelli di lettura.

Dalla fiaba moderna, metafora della crescita personale, allegoria politica e sociale dell’America degli anni ’30, all’esempio pionieristico di cinema queer, grazie alla sua ricca simbologia e al culto che si è sviluppato attorno a essa, Il Mago di Oz è un film straordinariamente denso e attuale, capace di parlare a generazioni diverse con messaggi sempre nuovi.

Il Mago di Oz come specchio del suo tempo

Il Mago di Oz nasce in un momento di grande transizione per gli Stati Uniti. Siamo nel 1939, nel pieno della Grande Depressione, in una società ancora segnata dalla crisi economica, ma anche animata dal fermento delle innovazioni cinematografiche e dall’imminente ingresso nella Seconda guerra mondiale.

Un contesto all’interno del quale il cinema non è solo intrattenimento: è evasione, speranza, costruzione di un’identità collettiva, con il film che assume un valore emblematico. Da un lato, rappresenta un prodotto dell’ottimismo americano: un viaggio che inizia tra le grigie difficoltà del Kansas e si apre poi nel mondo a colori di Oz — metafora evidente del desiderio di evasione e rinascita. Dall’altro, alcune letture critiche hanno proposto interpretazioni allegoriche legate alla situazione politica ed economica dell’epoca, in particolare al Gold Standard e alla lotta tra lavoratori, industriali e potere politico.

Non a caso, Il Mago di Oz è stato uno dei primi film a utilizzare il Technicolor con valenza simbolica: il passaggio dal bianco e nero al colore non è solo una scelta tecnica, ma rappresenta un cambio di percezione, una rivelazione di una realtà più profonda. La colonna sonora — in particolare l’iconica Over the Rainbow — esprime un desiderio struggente di fuga, di un “altrove” più giusto e accogliente.

Il viaggio, l’identità, il ritorno

Uno degli aspetti più affascinanti de Il Mago di Oz è la sua struttura narrativa, che si ricollega al classico archetipo del viaggio dell’eroe. Dorothy, giovane ragazza del Kansas, viene catapultata in un mondo fantastico, affronta ostacoli, incontra alleati e supera prove, per poi tornare trasformata: uno schema universale questo, che risuona con il mito, la fiaba e la psicologia profonda.

Il tema dell’identità è centrale, e ogni personaggio che accompagna Dorothy incarna un aspetto dell’interiorità umana: lo Spaventapasseri desidera un cervello, l’Uomo di Latta un cuore e il Leone un po’ di coraggio. Tuttavia, ognuno dimostra di possedere proprio ciò che crede di non avere, svelando così uno dei messaggi fondamentali del film, ossia che il vero potere risiede dentro di noi, e spesso ciò che cerchiamo altrove è già parte della nostra natura.

Ma il viaggio di Dorothy è anche un percorso di maturazione. All’inizio desidera fuggire dalla monotonia della vita quotidiana, ma il mondo magico di Oz – sebbene affascinante – è anche insidioso e illusorio, con il Mago, figura apparentemente onnipotente, che si rivela essere un uomo comune nascosto dietro una macchina: una sottile critica alla fiducia cieca nelle autorità e nei falsi salvatori.

Infine, il ritorno è trattato con delicatezza e profondità. Dorothy comprende che “non c’è posto come casa” (There’s no place like home), non in senso nostalgico, ma trasformativo: la vera fuga non è l’evasione, bensì la capacità di guardare la propria realtà con occhi nuovi.

Strade dorate e ombre interiori

Il Mago di Oz è un’opera ricca di simbolismi e figure archetipiche, che oltrepassano la narrazione fiabesca per toccare le corde profonde dell’inconscio collettivo, e ogni personaggio e luogo ha una valenza simbolica che riflette dilemmi interiori, desideri e tensioni culturali.

Dorothy rappresenta il modello del viaggiatore ingenuo che cresce attraverso l’esperienza, il viaggio la obbliga ad affrontare la complessità del mondo e la sua apparente fragilità è in realtà espressione di forza morale e autenticità.

I tre compagni di viaggio – lo Spaventapasseri, l’Uomo di Latta e il Leone – raffigurano mente, cuore e volontà: i tre pilastri dell’identità. Ognuno crede di essere carente in qualcosa, ma dimostra di possedere quella qualità proprio attraverso l’azione, e il messaggio, come detto, è chiaro: la crescita interiore nasce dalla consapevolezza, non dalla dipendenza da figure esterne.

Il Kansas e Oz sono due mondi opposti e complementari: il primo, grigio e monotono, simboleggia la realtà concreta; il secondo, variopinto e caotico, rappresenta il sogno, il desiderio, l’inconscio. Ma anche Oz ha le sue ombre: la Strega Cattiva dell’Ovest di fatto personifica la paura e il controllo e la sua fine – sciolta da un semplice secchio d’acqua – suggerisce che molte paure, una volta affrontate, sono infondate.

Il Mago, infine, è una figura ambivalente: dietro l’apparenza di onnipotenza si cela l’inganno, ma anche la possibilità di smascherare l’autorità e recuperare il potere personale. Nessuno può salvarci al nostro posto.

I colori e le melodie che trasformano Oz

Uno degli aspetti più memorabili del film è il suo impatto visivo rivoluzionario. Il Technicolor, all’epoca ancora in fase sperimentale, fu utilizzato per creare un contrasto folgorante tra il Kansas (in toni seppia) e il mondo di Oz, dai colori saturi e vividi, che rappresenta il passaggio dalla realtà grigia alla possibilità del sogno.

Le scenografie dipinte a mano, i costumi teatrali e il design dei personaggi contribuiscono a un’estetica sospesa tra fiaba e surrealismo, che ancora oggi conserva una forza evocativa straordinaria. La colonna sonora è parte integrante della narrazione: Over the Rainbow, vincitrice dell’Oscar, è divenuta un inno universale al desiderio di un mondo migliore, e le musiche potenziano le emozioni, alternando leggerezza e intensità drammatica.

Anche dal punto di vista tecnico, il film fu pionieristico: il ciclone che trasporta Dorothy a Oz, ad esempio, fu creato con un tubo di seta fatto ruotare su un modellino in miniatura – una delle tante soluzioni artigianali che anticipano la magia degli effetti speciali moderni.

L’anima immortale de Il Mago di Oz

Il Mago di Oz non è soltanto un classico senza tempo, ma un vero e proprio mito moderno, un’opera che si rinnova e si reinventa ad ogni generazione. Nel corso degli anni ha ispirato innumerevoli adattamenti, remake, parodie e approfondimenti critici, mentre i suoi personaggi — da Dorothy al Leone Codardo, dalla Strega al Mago — sono diventati icone indelebili della cultura popolare.

A partire dagli anni ’70, il film ha assunto un significato simbolico profondo per la comunità LGBTQ+. Judy Garland, figura al contempo tragica e carismatica, è diventata un’icona queer, e l’espressione “There’s no place like home” è stata reinterpretata come un potente inno all’identità e all’accettazione di sé. Non a caso, l’espressione “friend of Dorothy” veniva utilizzata come codice discreto per indicare una persona omosessuale.

Dal punto di vista accademico, Il Mago di Oz è stato esaminato da molteplici angolazioni: psicologica, politica, femminista, marxista. Alcuni lo leggono come una critica all’autoritarismo, altri come un racconto psicoanalitico dell’inconscio, altri ancora come una riflessione sull’educazione e sull’illusorietà del potere.

Oggi il film continua a vivere non solo grazie alla sua indiscutibile qualità artistica, ma soprattutto per la sua straordinaria capacità di parlare a ogni epoca e di offrire nuove chiavi di lettura. Pochi sono i film capaci di trasformarsi da semplice fiaba a mito universale, da intrattenimento a simbolo eterno di immaginazione, crescita e libertà.

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Emanuela Giuliani


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