Il Mostro, la serie targata Netflix di Stefano Sollima che risveglia la memoria collettiva su una delle vicende italiane più inquietanti.
Il Mostro, la nuova serie TV in quattro episodi diretta da Stefano Sollima e creata insieme a Leonardo Fasoli, riporta alla luce una delle pagine più oscure e tormentate della storia italiana: la vicenda del Mostro di Firenze. Presentata all’82esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia e in arrivo in esclusiva su Netflix dal 22 ottobre, la serie affronta con atmosfere tese un caso che ha segnato profondamente la memoria collettiva del Paese.
Otto duplici omicidi consumati tra gli anni ’60 e ’80, diciassette anni di paura e incertezza, e un’indagine costellata da piste tortuose, teorie contrastanti e colpevoli mai del tutto accertati. Il Mostro di Firenze è stato il primo e il più brutale serial killer d’Italia, e questa serie ne esplora tutte le sfaccettature, basandosi su atti processuali, inchieste e testimonianze ancora oggi fonte di dibattito.
Nel buio dell’Italia, tra efficacia narrativa e scelte stilistiche forzate
Con Il Mostro, Stefano Sollima ci conduce nei meandri più oscuri della cronaca italiana, riaccendendo i riflettori, come detto, su uno dei casi più inquietanti e irrisolti della nostra storia recente. Si tratta di un progetto ambizioso che intreccia thriller investigativo, suspense e ambiguità, suggerendo che il vero “mostro” potrebbe essere chiunque, e offrendo una riflessione profonda sul male, sull’incertezza della verità e sulla costruzione del “male” nella coscienza collettiva.
Sollima, però, piuttosto che partire dal processo più noto e mediatico — quello contro Pietro Pacciani e i cosiddetti “compagni di merende” — compie una scelta narrativa ancora più audace: torna infatti alle origini, al primo delitto del 1968 di Antonio Lo Bianco e Barbara Locci. Un caso inizialmente isolato, che solo anni dopo sarà ritenuto collegato alla catena di otto duplici omicidi avvenuti tra il 1974 e il 1985. Le vittime, per lo più giovani coppie appartate in auto, venivano uccise con una pistola Beretta calibro .22 e, nel caso delle donne, mutilate secondo un rituale macabro.
La serie racconta tutto questo evitando il sensazionalismo e senza nascondere la brutalità dei fatti, ma con l’importante intento di rispettare le vittime: le scene violente, infatti, non sono mai gratuite e il dolore viene rappresentato con misura, senza indulgere nella spettacolarizzazione. La tensione drammatica resta alta, ma il crimine non viene mai trasformato in puro intrattenimento.
Dal punto di vista visivo, si tratta di un lavoro curato e tecnicamente solido. La fotografia è cupa, dominata da toni terrosi e ombre pesanti che evocano un senso di oppressione costante, riuscendo a trasmettere la paranoia e l’angoscia di quegli anni in un’Italia centrale rurale e inquietante, dove il terrore serpeggiava silenzioso tra i boschi e le strade di campagna.
Tuttavia, proprio l’attenzione all’estetica rischia, a tratti, di giocare a sfavore della serie. Alcune sequenze, infatti, appaiono troppo costruite, con una tensione “calcolata” che tende a spezzare l’immediatezza emotiva. In certi momenti l’orrore sembra più pensato per essere mostrato che per essere sentito, togliendo così un po’ di autenticità a un materiale che avrebbe forse richiesto un linguaggio più diretto.
Un altro elemento che può creare difficoltà è la struttura narrativa. La serie non segue un andamento lineare e si muove tra diverse linee temporali: indagini, testimonianze e depistaggi si alternano. Questo, se da un lato riflette lo smarrimento reale, dall’altro può risultare complesso e talvolta frustrante per uno spettatore non già informato sui fatti riuscire a orientarsi. La sceneggiatura di Leonardo Fasoli, arricchita da fonti d’archivio, dialoghi sobri e una ricostruzione attenta, mantiene però sempre una certa distanza, evitando prese di posizione forti.
Ma il vero fulcro della serie non è tanto la caccia all’assassino quanto l’indagine su come una società reagisce all’ignoto e alla violenza. Il Mostro ci invita a riflettere su chi sia davvero il “mostro”: se si tratti di un singolo criminale oppure di un intero sistema — mediatico, istituzionale, sociale — che, con i suoi meccanismi, ha contribuito a costruire un colpevole forse più utile che reale.
Il male, infatti, non è solo il risultato di azioni concrete, ma nasce anche da omissioni, paure e pregiudizi. In questo contesto, l’opinione pubblica diventa un personaggio invisibile e mutevole, plasmato dall’influenza dei media e dalle inefficienze dello Stato, che spesso contribuisce a mantenere vivo e a ingigantire quel senso di terrore e incertezza.
Un viaggio complesso tra verità e dubbio
Il Mostro è una serie ambiziosa, che si distingue per l’attenzione al contesto storico e il rispetto per una vicenda ancora dolorosa. La regia è solida e l’impianto visivo efficace, ma l’approccio estremamente controllato e stilizzato limita in parte il coinvolgimento emotivo. La scelta di non semplificare e di lasciare spazio al dubbio è coraggiosa, ma può anche disorientare e lasciare lo spettatore con la sensazione di un racconto incompleto.
Sollima evita scorciatoie narrative e punta su un racconto complesso, che però non sempre riesce a bilanciare profondità e chiarezza. Nonostante la qualità del lavoro sia evidente, alcuni elementi — come la frammentazione della narrazione e l’eccessiva cura estetica — finiscono per raffreddare l’esperienza complessiva.
Il Mostro resta un progetto interessante che più che emozionare, stimola una riflessione critica, lasciando lo spettatore con molte domande e poche certezze. Una scelta coerente con il tema, ma che può non soddisfare chi cerca una narrazione più diretta o coinvolgente.
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Emanuela Giuliani
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