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Il Petroliere: l’epopea del capitalismo e della solitudine di Paul Thomas Anderson

Il Petroliere di Paul Thomas Anderson: un’epopea sul capitalismo, l’avidità e la solitudine che accompagna il potere assoluto.

Il Petroliere è un’epopea moderna sull’origine dell’America contemporanea, un racconto che non celebra il progresso, ma ne illumina le ombre più oscure. Ambientato tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, il film esplora il passaggio dalla frontiera fisica a quella economica, tra industrializzazione e sfruttamento del sottosuolo. La visione di Paul Thomas Anderson si discosta dal trionfalismo: la nascita del capitalismo energetico diventa una storia di violenza, materiale e spirituale.

Daniel Plainview, protagonista e imprenditore, emerge dal terreno come l’olio stesso, unendo determinazione feroce e istinto primordiale. L’espansione industriale non è progresso, ma una discesa negli abissi dell’animo umano, dove la lotta per il potere annienta ogni forma di solidarietà. Plainview non è l’eroe del “self-made man”, ma la sua versione più oscura: un uomo che scava nella terra e nella propria psiche con la stessa ossessiva intensità. In lui, il capitalismo si rivela come forza divorante, capace di distruggere relazioni e di lasciare dietro di sé un paesaggio umano devastato.

Daniel Plainview: uomo o mito oscuro?

Daniel Day-Lewis costruisce Plainview come un mito moderno: un uomo sospeso tra realtà e archetipi, dove l’eroe imprenditoriale si trasforma in figura tragica. Non è semplicemente ambizioso: la sua spinta nasce da una misantropia radicata e da un desiderio di dominio che precede il contesto storico in cui vive. Ogni sua azione rivela la necessità di superare, umiliare e annientare chiunque percepisca come ostacolo, mostrando un’avidità che diventa quasi metafisica.

Il rapporto con H.W., il figlio adottivo, esemplifica questa complessità. L’adozione non nasce da affetto, ma come investimento strategico per consolidare l’immagine di un uomo affidabile e capace di ispirare fiducia. Col tempo, però, questa facciata si incrina: emergono paura, paranoia e fragilità, mostrando che Plainview è terrorizzato dall’idea di essere ingannato o tradito. Anderson lo filma come un gigante maledetto, un titano che lotta contro la terra per estrarne il petrolio e contro sé stesso per contenere la furia che lo abita. La celebre frase finale, “I’m finished”, non è solo la fine di un’impresa: è una confessione tragica, il riconoscimento che Plainview ha consumato tutto ciò che aveva, sé stesso incluso.

Il petrolio come metafora

In Il Petroliere, il petrolio va oltre la sua mera funzione economica e diventa un simbolo oscuro che attraversa l’intera narrazione. E’ il sangue nascosto della terra: denso, potente, capace di liberare forze incontrollabili, emblema dell’alba del capitalismo industriale, con le sue promesse di prosperità ma anche con le insidie morali che esso comporta.

Nelle mani di Plainview, il petrolio diventa la prova concreta che la ricchezza richiede distruzione: ogni pozzo scavato è una vittoria sul mondo, ma comporta anche un sacrificio umano, e la celebre esplosione del pozzo ne è un esempio. La colonna di fuoco che si innalza verso il cielo assume toni quasi apocalittici, la ricchezza avanza, ma H.W. perde l’udito, rivelando come ogni trionfo materiale abbia un prezzo emotivo e fisico. Anderson suggerisce così che ricchezza e tragedia non sono opposti, ma intrecciati in modo indissolubile.

Il dualismo con Eli Sunday

Il conflitto tra Plainview ed Eli Sunday rappresenta il cuore ideologico del film: due forze che hanno plasmato l’America moderna. Plainview domina la terra e le risorse, Eli invece, cerca di dominare le anime attraverso la religione, ed entrambi manipolano la comunità di Little Boston promettendo prosperità o salvezza, ma l’obiettivo reale è il potere personale.

La loro rivalità trascende il piano personale e diventa una lotta tra due forme complementari di autorità: denaro e fede. L’ambiguità emotiva che li lega suggerisce quasi una dipendenza reciproca: ciascuno ha bisogno dell’altro per definire la propria identità. Il confronto finale sulla pista da bowling è emblematico: Plainview annienta Eli non solo fisicamente, ma anche simbolicamente, affermando la supremazia del potere economico sulla religione organizzata. Tuttavia, questa vittoria è vuota, ottenuta a prezzo della propria integrità morale.

Un linguaggio filmico radicale

Il Petroliere costruisce il suo mondo con un linguaggio cinematografico rigoroso e misurato, Anderson rifiuta la spettacolarità gratuita e punta sull’intensità del ritmo e dello spazio, con movimenti di macchina lenti e controllati, inquadrature che enfatizzano le geometrie e i silenzi prolungati conferiscono peso a ogni gesto e parola.

Il paesaggio, pur richiamando la tradizione del western, è distorto: non è più luogo di eroica conquista, ma campo di lotta primordiale, dove la comunità appare fragile e corrotta dal denaro. La musica di Jonny Greenwood amplifica la tensione: archi stridenti e ritmiche irregolari generano un senso di minaccia costante, mettendo in evidenza l’instabilità emotiva di Plainview. La fotografia di Robert Elswit, costruita sui contrasti tra luce naturale e ombre profonde, trasforma gli uomini in figure quasi scultoree immerse nella polvere, evocando la pittura americana dell’Ottocento ma distorcendo la serenità: la natura appare indifferente e ostile, come se l’ambizione umana fosse un atto di sfida destinato a fallire.

Avidità, potere e solitudine

Il film intreccia temi complessi e universali, che superano la storia di un imprenditore ossessionato dal petrolio. Al centro troviamo l’avidità, intesa non solo come brama di ricchezza, ma come impulso primordiale e quasi istintivo, capace di consumare chi lo coltiva. Plainview costruisce il suo successo sopra gli altri: ogni conquista economica si accompagna alla sconfitta altrui, creando un ciclo di dominio e distruzione che travolge legami personali e comunitari.

La questione dei rapporti umani emerge attraverso il legame con H.W., il figlio adottivo. L’adozione è una scelta strategica che, col tempo, rivela la fragilità e la distanza emotiva, con la paternità che diventa un simbolico investimento, testimonianza della totale incapacità di Plainview di creare relazioni genuine.

Parallelamente, il sogno americano si trasforma in incubo. Tradizionalmente associato alla possibilità di riscatto e miglioramento, nel film diventa un percorso in cui la ricchezza si accompagna a solitudine, tradimenti e conflitti morali. La brama di potere è autodistruttiva: chi mira al controllo totale finisce per isolarsi, incapace di riconoscere l’umanità altrui.

Il culmine di queste dinamiche si concentra nella scena finale sulla pista da bowling. L’omicidio di Eli Sunday, consumato con crudezza teatrale, segna il culmine di anni di rivalità, ma il trionfo è vuoto: il silenzio che segue pesa come una condanna. La frase “I’m finished” racchiude un duplice significato: annuncia il compimento della missione imprenditoriale, ma rivela anche la fine dell’uomo Plainview, ormai privo di legami, di obiettivi e persino di rabbia. Il potere assoluto coincide con il vuoto totale, e la conquista materiale si trasforma in autodistruzione.

Il prezzo dell’avidità e del potere

Il Petroliere è un’opera epica e filosofica che esplora le origini della modernità americana. Anderson ritrae l’avidità e l’ambizione senza limiti attraverso la figura di Plainview, simbolo di un capitalismo primordiale che divora tutto ciò che tocca. Il film fonde mito, analisi storica e introspezione psicologica, trasformando un racconto sull’industrializzazione in una meditazione sull’essere umano, sulla morale e sul potere.

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Emanuela Giuliani


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