Il Primo Re, la recensione del film con protagonisti Alessandro Borghi e Alessio Lapice tra mito, sangue e fratellanza.
Due fratelli, soli, in un mondo spietato e primitivo. Uno è la forza dell’altro, il cuore e la mente, e insieme sfidano la brutalità del destino e il volere degli dèi, da questa unione nascerà non solo una città – Roma – ma l’embrione dell’Impero che cambierà il corso della storia. Il Primo Re, diretto da Matteo Rovere, è molto più di una rivisitazione mitologica: è un film coraggioso che riporta il cinema italiano a confrontarsi con l’epica, con uno stile visionario, crudo e profondamente innovativo.
Ambientato nell’VIII secolo a.C., Il Primo Re non si limita a raccontare la leggenda di Romolo e Remo: la decostruisce, la rielabora e la restituisce in una forma primordiale, vicina alla terra, ai corpi e al sangue. Qui non ci sono eroi idealizzati, ma uomini guidati dalla paura, dalla fede e dall’istinto di sopravvivenza.
Girato interamente in location naturali, il film rifiuta qualsiasi artificio. La scelta estetica e produttiva è radicale: assenza quasi totale di interni, uso esclusivo della luce naturale, ambienti e condizioni reali – pioggia, fango, freddo – che diventano parte integrante della narrazione. “È la natura stessa che recita accanto agli attori” – ha affermato Rovere – e in ogni inquadratura si percepisce la fatica reale, fisica, che traspare dai corpi di Alessandro Borghi (Remo) e Alessio Lapice (Romolo)”.
Un’altra scelta rivoluzionaria è l’uso del proto-latino – una ricostruzione linguistica dell’antico latino pre-letterario – che conferisce al film un’autenticità mai tentata prima. La lingua, arcaica e tagliente, diventa non solo un mezzo comunicativo, ma anche una scelta sonora e poetica. Secondo gli sceneggiatori Francesca Manieri e Filippo Gravino, essa si inserisce nel “silenzio narrativo” che attraversa la pellicola, in cui spesso i gesti parlano più delle parole.
Rovere si è avvalso della collaborazione di studiosi di etruscologia dell’Università di Tor Vergata per garantire un’accuratezza storica e antropologica rigorosa. I rituali pagani, i sacrifici, la gestualità sacra e i costumi sono tutti ispirati a fonti archeologiche, offrendo una rappresentazione coerente e affascinante dell’Italia preromana.
Il lavoro di Daniele Ciprì alla fotografia è straordinario. Le immagini sono volutamente sporche, crude, contrastate: volti segnati dal fango, luci che filtrano tra i rami, fuochi che danzano nel buio. Ogni fotogramma è pervaso da un senso di inquietudine arcaica. La regia di Rovere è dinamica ma mai disordinata, alterna momenti di azione intensa – con combattimenti realistici e dolorosi – a silenzi carichi di tensione. Il ritmo narrativo è calibrato con precisione e riflette l’evoluzione emotiva dei protagonisti.
Il cuore del film è il rapporto tra i due fratelli. Non si tratta solo di un legame affettivo, ma di una riflessione profonda sull’identità, sulla lotta interiore tra istinto e ragione, tra potere e umiltà. L’arco narrativo conduce lo spettatore da un’unione simbiotica alla rottura definitiva, che si trasforma in fondazione: l’omicidio fraterno come gesto originario. Un tema antico, reso attuale e universale.
La religiosità che permea la pellicola è anch’essa ambigua: Dio è una forza invisibile, crudele e misteriosa. La fede si manifesta in modo violento, e il divino irrompe tanto nella preghiera quanto nell’atto di uccidere. Un dualismo potente, che spinge il film a interrogarsi sul destino e sul libero arbitrio, in una tensione eterna e ancora irrisolta.
Alessandro Borghi offre una delle interpretazioni più intense della sua carriera: il suo Remo è viscerale, animale, ma al tempo stesso fragile e profondamente umano. Il lavoro sul linguaggio del corpo, sulla voce e sull’energia è impressionante. Accanto a lui, Alessio Lapice costruisce un Romolo silenzioso, risoluto, un giovane che cresce nella sofferenza fino a diventare fondatore. L’alchimia tra i due attori regge il peso emotivo dell’intera pellicola, rendendola vibrante e autentica.
Il Primo Re è un film unico nel panorama italiano. Coraggioso, innovativo, radicale. Non ha paura di sporcarsi le mani con il fango del mito, restituendoci una narrazione densa, carnale e al contempo spirituale. È un racconto che guarda al passato con occhi moderni, sfidando le convenzioni del cinema storico e dell’epica tradizionale.
Distribuito da 01 Distribution, Il Primo Re è uscito nelle sale italiane il 31 gennaio 2019. Non è solo un film da vedere: è un’esperienza sensoriale da vivere. Un esempio di come il cinema possa ancora sorprenderci, con la forza del linguaggio e la potenza del mito.
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Emanuela Giuliani
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