Il Sorpasso, un film simbolo di un’epoca esempio perfetto di commedia italiana e capolavoro diretto da Dino Risi.
Il Sorpasso, diretto da Dino Risi e uscito nel 1962, è considerato uno dei film più importanti del cinema italiano e il vero capolavoro del regista milanese, esempio perfetto di commedia all’italiana che tra gli anni Cinquanta e Sessanta seppe raccontare, con ironia ma anche con profondità, una società in rapido cambiamento.
La commedia all’italiana, infatti, non è solo divertimento ma è uno specchio del Paese, che prende situazioni quotidiane, le rende comiche e allo stesso tempo solleva domande serie sulla realtà sociale, politica e culturale del momento. Risi, insieme ad altri grandi registi come Mario Monicelli, Luigi Comencini e Pietro Germi, ha saputo usare il cinema per descrivere l’Italia vera, con i suoi pregi e i suoi difetti.
Con Il Sorpasso, Dino Risi riesce a raccontare un periodo molto particolare della storia italiana: quello del “miracolo economico”, cioè la fase di grande crescita economica vissuta dal Paese tra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio dei Sessanta, in cui l’Italia passò da un’economia prevalentemente agricola a una società industriale e moderna, si diffusero di fatto la macchina, la televisione, gli elettrodomestici e cambiarono i costumi, le abitudini, le famiglie.
Molti italiani, per la prima volta, conobbero il benessere materiale, ma insieme arrivarono anche le prime contraddizioni: l’individualismo, la perdita di valori tradizionali, la frenesia del progresso, le disuguaglianze sociali. Il Sorpasso riesce a farci vedere tutto questo, attraverso una storia semplice, ma ricca di significato.
Un viaggio che racconta l’Italia
La trama del film è lineare ma efficace. A Roma, in una città svuotata dal caldo estivo e dal Ferragosto, Bruno – un uomo estroverso e logorroico – si imbatte in Roberto, un giovane studente universitario timido e solitario. Bruno lo convince, quasi per gioco, a seguirlo in un viaggio in auto.
Quello che doveva essere un’uscita breve si trasforma in un lungo giro per le strade del Lazio e della Toscana, tra spiagge, ristoranti, paesi e città. I due attraversano un’Italia che sembra in vacanza, ma che in realtà nasconde una grande trasformazione sociale in atto.
Durante il viaggio incontrano famiglie borghesi in villeggiatura, giovani che vogliono divertirsi, matrimoni in crisi, feste, musica americana, balli in spiaggia. Tutti segni questi di un’Italia moderna e leggera, ma anche disorientata, dove l’apparenza conta più della sostanza, e il viaggio in macchina diventa così un pretesto narrativo per scoprire e osservare il Paese, ma anche per mettere a confronto due generazioni, due mentalità, due visioni della vita.
Due protagonisti, due mondi diversi
I protagonisti del film sono interpretati da due attori straordinari, che riescono a dare corpo e anima ai loro personaggi rendendo il film indimenticabile: Vittorio Gassman, nei panni del travolgente Bruno Cortona, e Jean-Louis Trintignant, nel ruolo del timido e riflessivo Roberto Mariani.
Bruno è il simbolo perfetto di un’Italia che ha appena scoperto il boom economico e i piaceri della vita moderna, è un uomo estroverso, trascinante, sempre pronto a ridere e a fare battute, vive alla giornata, tra belle auto, donne, avventure improvvisate e un’apparente leggerezza che lo rende irresistibile. Ma sotto questa maschera di vitalità si nasconde un uomo fragile, che sfugge alle responsabilità e che, dietro il sorriso, cela una profonda solitudine, la sua vita è fatta di relazioni spezzate, legami affettivi fragili, e una costante ricerca di qualcosa che forse non troverà mai.
Roberto, invece, è l’opposto perfetto. Giovane studente di giurisprudenza, è serio, riservato, timido, quasi impacciato, vive immerso nei libri e nei valori della sua famiglia borghese, rispettando regole e convenzioni. In lui c’è la rappresentazione di un’Italia che fatica a stare al passo con il cambiamento, un’Italia che guarda il futuro con cautela, aggrappandosi alle certezze del passato.
Il loro incontro, fortuito e imprevedibile, mette in moto una sorta di piccolo esperimento sociale e umano. Bruno trascina Roberto in un viaggio che è molto più di una semplice gita in auto: è un’immersione nella vita, nei desideri, nei contrasti tra due anime, due visioni del mondo, e proprio in questo contrasto nasce un legame speciale. Roberto è affascinato dalla libertà di Bruno, ma allo stesso tempo ne percepisce le crepe. Bruno prende in giro la timidezza di Roberto, ma sotto sotto invidia la sua purezza, la sua coerenza.
La loro amicizia, breve ma intensa, diventa lo specchio di un’intera generazione. Due modi diversi di affrontare il presente, due sensibilità che si incontrano in un momento storico in cui l’Italia corre veloce, ma non tutti sanno dove stanno andando.
Uno stile che sembra leggero, ma fa riflettere
Dino Risi, con la sua regia raffinata e mai invadente, riesce a raccontare una storia profonda usando un tono che sembra leggero, quasi da commedia. Ma dietro ogni battuta, ogni situazione comica, si nasconde una riflessione sul senso della vita, sul cambiamento, sulle scelte che facciamo – o che evitiamo di fare.
Il film sembra girato “al volo”, con uno stile quasi documentaristico: molti dialoghi sembrano improvvisati, le situazioni appaiono casuali, ma in realtà tutto è studiato con grande attenzione. Le inquadrature seguono i protagonisti senza filtri, soprattutto nelle scene in macchina, dove lo spettatore si sente davvero lì con loro, come un terzo passeggero silenzioso.
L’Italia che vediamo scorrere fuori dal finestrino – le spiagge, le strade provinciali, i piccoli paesi, i locali affollati – è quella vera, autentica, fatta di colori, suoni e contraddizioni. Ogni luogo diventa uno specchio del cambiamento in atto nel Paese.
Anche la musica ha un ruolo centrale, le canzoni dell’epoca, leggere e orecchiabili, danno ritmo alla storia e creano un contrasto interessante con il senso di malinconia che pian piano emerge. “Quando, quando, quando” di Tony Renis, ad esempio, non è solo un motivo allegro, ma diventa il simbolo di una giovinezza che vuole vivere tutto subito, senza pensare troppo al domani.
E poi c’è il titolo, “Il Sorpasso”, che va ben oltre il semplice gesto automobilistico. È una metafora potente: il desiderio di superare, di andare avanti a ogni costo, di non rimanere indietro, ma, come ci insegna il film, può essere anche pericoloso, azzardato, persino fatale. E il finale, improvviso e tragico, ribalta tutto: quello che sembrava un gioco, un’avventura estiva, si trasforma in una lezione amara e profonda.
Un film attuale ancora oggi
Anche se è ambientato in un’Italia degli anni Sessanta, Il Sorpasso continua a parlare al presente. I suoi temi sono senza tempo: il bisogno di trovare la propria identità, il confronto tra generazioni, il senso della libertà, il peso delle aspettative sociali, la paura del vuoto che a volte si nasconde dietro una vita “piena”.
In un mondo come il nostro, dove tutto va veloce, dove si corre per apparire, per raggiungere obiettivi sempre nuovi, il film ci invita a fermarci un attimo e a chiederci: “Ma dove stiamo andando?” Siamo come Bruno, che vive di impulso e si rifugia nell’azione per non pensare? O come Roberto, che cerca certezze ma rischia di non vivere davvero? O forse un po’ entrambi?
Il Sorpasso non dà risposte, e proprio per questo resta così potente, ci lascia con delle domande aperte, che ognuno può riempire con la propria esperienza, e ci mostra che anche una risata può nascondere un grido, che dietro una curva può esserci una sorpresa – o un abisso.
Ecco perché, dopo oltre sessant’anni, il film continua a emozionare, a far discutere, a essere proiettato e studiato, è un classico non solo del cinema italiano, ma del cinema universale. Un’opera capace di raccontare un’epoca e, allo stesso tempo, di parlare al cuore di ogni generazione, in ogni tempo.
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Emanuela Giuliani