cover immagini film jackie, spencer e maria

Jackie, Spencer, Maria: le anime perdute dei biopic di Pablo Larraín

Jackie, Spencer, Maria, le anime perdute ritratti nei film biografici diretti dal regista cileno Pablo Larraín.

Diretti da Pablo Larraín: Jackie del 2016, Spencer del 2021 e Maria del 2024, non sono semplici ritratti cinematografici di icone del Novecento, ma vere e proprie raffigurazioni che sfidano le convenzioni del genere attraverso cui il regista cileno non si limita a raccontare la storia di queste donne, bensì le esplora con una lente intensa e quasi claustrofobica, mettendo in discussione la nostra percezione di queste figure storiche.

Larrain non cerca la celebrazione, ma l’analisi delle loro complessità psicologiche, emotive e storiche che ne hanno determinato il destino, trasformando così ogni film una riflessione profonda sulla condizione umana, sulla solitudine e sulle contraddizioni che emergono quando il pubblico e la fama si sovrappongono alla vita privata.

Con Jackie, ad esempio, pur partendo dalla tragedia dell’assassinio di John F. Kennedy, mette in luce le conseguenze devastanti di quella perdita per sua moglie, Jacqueline Kennedy, e grazie alla straordinaria performance di Natalie Portman, Larrain dipinge una Jackie che va oltre l’immagine pubblica della First Lady: una donna che affronta un dolore intimo e profondo sotto gli occhi del mondo, costretta a trasformarsi in un simbolo di forza, dignità e compostezza.

Il regista indaga a fondo le difficoltà di Jackie nel mantenere il controllo della propria immagine e del proprio lutto, mentre cerca di proteggere la sua famiglia e l’eredità politica e personale del marito in un momento di tragedia assoluta.
Il film si sviluppa così come un atto di resistenza: una lotta per preservare la propria identità in un mondo che tende a ridurla a un’icona, e Larraín invita lo spettatore a guardare oltre la maschera di perfezione che la storia ha costruito intorno a Jackie, mettendo in risalto il tormento umano che si cela dietro la sua figura.

In Spencer, invece, si concentra su Diana, principessa del Galles, e sul suo drammatico tentativo di trovare un equilibrio tra i ruoli di madre, moglie e icona della monarchia britannica, e Larraín sceglie di ambientare il film durante un Natale, periodo in cui Diana vive un profondo conflitto con il principe Carlo e con la rigidità della famiglia reale. In questo contesto, la protagonista è una figura tragica che lotta per mantenere la propria identità, messa sotto pressione da un sistema che le impone costantemente di conformarsi.

La performance di Kristen Stewart, nel ruolo di Diana, restituisce un personaggio che è più di una principessa: è una donna che cerca disperatamente di sfuggire a una vita che non le appartiene, in un ambiente che la opprime. Diana è un simbolo, ma anche una donna ferita, alla ricerca della propria autonomia emotiva in un mondo che la vuole perfetta, ma che la distrugge nell’intimità, e il film diventa così una riflessione sulla condizione dell’essere donna sotto il costante scrutinio pubblico, dove ogni errore è amplificato e ogni tentativo di resistenza sembra inutile. Diana è prigioniera della propria fama, ma anche della sua stessa lotta per trovare una verità personale in un mondo che le impedisce di essere se stessa.

Infine con Maria Larrain ci offre un ritratto della leggendaria soprano Maria Callas, raccontando non solo il suo talento musicale straordinario, bensì approfondendo la complessità della sua vita, i conflitti che l’hanno segnata e le sue relazioni dolorose, in particolare con Aristotele Onassis. Il regista ci mostra una Callas non come una divinità inarrivabile, ma come una donna che vive costantemente in bilico tra l’acclamazione del pubblico e la miseria della sua vita privata, analizzando il prezzo della fama e il conflitto interiore, diviso tra l’arte che la esige e la consuma, e il desiderio di amore e di una vita che non sia solo definita dal suo talento. Larraín ci dona così una Callas umana, fragile, che combatte contro le proprie incertezze e le aspettative esterne, cercando di riscoprire un significato oltre l’immagine pubblica che il mondo ha creato per lei. La sua solitudine e la sua ricerca di autenticità, in un mondo che la celebra come un’icona ma non la comprende come donna, diventano il cuore pulsante del film.

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In tutti e tre i film, Larraín si allontana dal biopic tradizionale, preferendo concentrarsi sulla psicologia e sulle dinamiche interiori dei suoi personaggi, la sua regia è iper-realista, quasi documentaristica, con un focus sui dettagli più intimi: espressioni facciali, piccoli gesti e atmosfere soffocanti. Dettagli che creano un’esperienza immersiva e straniante che invitando lo spettatore ad entrare nella mente delle protagoniste, nella loro vita esterna, nei loro conflitti interiori, sogni e nelle loro paure. Ogni film diventa così un’analisi profonda del mito, della costruzione di immagini pubbliche e della difficoltà di mantenere una propria identità quando il mondo ti vuole ridotto a un simbolo.

Un altro tema ricorrente in queste opere è quello del mito. Jackie, Diana e Maria sono tutte icone, ma anche vittime delle narrazioni che la società ha costruito attorno a loro. Larraín esplora come questi miti vengano creati, alimentati e infine distrutti, mostrando come le sue protagoniste, nel tentativo di conformarsi all’immagine imposta dagli altri, finiscano per smarrirsi. Il regista invita lo spettatore a guardare oltre la superficie, rivelando le cicatrici celate dietro il fascino e la perfezione apparente, e mettendo in luce la loro fragilità e la lotta per affermarsi come persone autentiche, al di là dei ruoli imposti.

Con Jackie, Spencer e Maria, Pablo Larraín offre uno sguardo originale sulla condizione femminile, sulle difficoltà affrontate dalle donne di potere e di fama, e sulla fatica di mantenere un’identità autentica in un mondo che le riduce a semplici immagini. Ogni film è una riflessione sul prezzo del successo, sull’impotenza di fronte alle aspettative esterne e sulla ricerca di una verità personale che spesso sembra irraggiungibile, e Larraín ci offre una profonda meditazione sulla costruzione e distruzione del mito, sul potere dell’immagine e sul tormento nascosto dietro l’apparenza della gloria.

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Emanuela Giuliani


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