Jacob Elordi diventa il mostro di Guillermo del Toro: 42 protesi e dieci ore di trucco per il nuovo Frankenstein.
Jacob Elordi, protagonista del nuovo Frankenstein di Guillermo del Toro, come riportato da Variety, ha avuto bisogno di ben 42 protesi per trasformarsi nel celebre mostro: quattordici solo per la testa e il collo, applicate ogni volta dopo dieci ore di trucco. Una metamorfosi fisica imponente, che rispecchia perfettamente la filosofia del film: tutto è stato costruito a mano, in scala reale, con una cura artigianale che del Toro considera parte integrante della sua poetica.
Qui la RECENSIONE DI FRANKENSTEIN di Venezia 82: Frankenstein di Guillermo del Toro, recensione: la solitudine della Creatura è lo specchio dell’uomo
Qui la PRESS CONFERENCE di Venezia 82: Frankenstein, conferenza stampa: del Toro e il cast raccontano un sogno diventato film
E ora a Londra, il pubblico può immergersi in questo universo attraverso la mostra gratuita Frankenstein: Crafting a Tale Eternal, visitabile fino al 9 novembre presso The Old Selfridges. L’esposizione accompagna l’uscita cinematografica del film – prima del debutto su Netflix previsto per il 7 novembre – e offre un viaggio dietro le quinte nella creazione del nuovo adattamento del classico di Mary Shelley. Tra costumi, scenografie, progetti, protesi e libri rari, si svela la complessità di un’opera che del Toro inseguiva da anni.
Il regista messicano ha ambientato la sua versione durante la guerra di Crimea, intrecciando la sensibilità gotica e romantica del romanzo con una visione moderna e quasi operistica. Accanto a lui, i suoi più fidati collaboratori: la costumista Kate Hawley, la scenografa Tamara Deverell e il compositore Alexandre Desplat. Ogni dettaglio, dai tessuti ai colori, è parte di una narrazione simbolica. Elizabeth, interpretata da Mia Goth, incarna la purezza e la connessione con la natura attraverso il bianco, ma anche la scienza, rappresentata dal suo abito blu ispirato alle radiografie. “Non è una delizia per gli occhi, è una proteina per gli occhi”, ha spiegato del Toro, sottolineando il valore concettuale e umano di ogni elemento visivo.
Hawley, che ha collaborato a stretto contatto con Deverell e con il direttore della fotografia Dan Laustsen, ha realizzato abiti imponenti, come quello blu di Elizabeth, composto da sessanta metri di tessuto e pensato per brillare alla luce tremolante delle candele. Il contrasto con Victor Frankenstein, interpretato da Oscar Isaac, è netto: i suoi costumi, ispirati a figure come David Bowie e Prince, riflettono la decadenza e la corruzione del tempo, logorandosi man mano che il personaggio si perde nella sua ossessione creativa.
Le scenografie di Deverell sono un trionfo di costruzione manuale. La nave The Horisont, realizzata in sei mesi con il supporto del modellista navale Matthew Betts, è lunga oltre quaranta metri e montata su un giunto cardanico per simulare il movimento del mare. Il laboratorio di Frankenstein, cuore visivo del film, riprende il motivo del cerchio — simbolo di eternità e riflessione — che attraversa l’intera opera, dai dettagli architettonici agli specchi. Del Toro lo definisce “un film circolare”, in cui Victor appare inizialmente come un santo, ma finisce per rivelarsi un uomo travolto dalla propria follia.
Anche la colonna sonora di Alexandre Desplat partecipa a questa poetica del contrasto. Il compositore, già collaboratore di del Toro per La forma dell’acqua e Pinocchio, ha costruito il suono della Creatura attorno al violino, “il più fragile e puro degli strumenti”, per dare voce alla sua anima vulnerabile e umana.
Il processo di creazione del mostro, curato dal maestro delle protesi Mike Hill, è esposto nella mostra in ogni sua fase. L’obiettivo era evocare una creatura ottocentesca, lontana dalle reinterpretazioni moderne. Hill racconta di aver voluto rendere visibile “l’interno del corpo umano all’esterno”, mostrando vene e tessuti in modo quasi trasparente. Il corpo della Creatura rivela le imperfezioni e i tentativi falliti di Victor, un mosaico di errori e correzioni che riflette la sua ansia di perfezione.
“Se davvero si volesse creare un uomo,” spiega Hill, “non si userebbero dieci corpi diversi. Si cercherebbe il corpo migliore possibile, sostituendo solo ciò che è danneggiato.” È così che il fisico di Elordi, alto e imponente, diventa la base ideale per la Creatura di del Toro, un essere maestoso e tragico al tempo stesso.
Frankenstein è dunque il risultato di un lavoro titanico: 119 set costruiti, 23 location in Canada e 32 nel Regno Unito, oltre 1.200 giorni per l’esterno della torre, 3.178 per la nave e migliaia di costumi e protesi artigianali. Ma al di là dei numeri, è un film che celebra la manualità e l’imperfezione umana, trasformando la materia stessa del cinema in un atto di resurrezione artistica.






