Jordan Peele ha rivoluzionato l’horror sociale con film come Get Out, Us e Nope. Un’analisi del suo stile, temi e impatto sul cinema.
Jordan Peele è una delle voci più originali e influenti del cinema contemporaneo. Nato a New York nel 1979, ha iniziato la sua carriera come comico e attore, diventando celebre con il duo Key & Peele, che ha conquistato il pubblico con il suo umorismo intelligente e satirico, ma è con Get Out, il suo esordio alla regia nel 2017, che ha davvero lasciato il segno, rivoluzionando il modo di intendere il cinema horror. Da quel momento infatti, è emerso come un autore capace di coniugare intrattenimento, riflessione, genere e impegno costruendo film che inquietano e fanno pensare.
Uno Stile Unico: L’horror secondo Jordan Peele
Il cinema di Jordan Peele si riconosce subito perché non punta solo a far paura, ma a far riflettere e le sue storie angoscianti non parlano di mostri immaginari, ma di realtà scomode spesso nascoste sotto la superficie della vita quotidiana. Con uno stile elegante e pungente, Peele trasforma l’horror in uno specchio sociale, dove le tensioni razziali, le ingiustizie sistemiche e le contraddizioni della cultura americana diventano protagoniste tanto quanto i suoi personaggi.
Una delle sue qualità più sorprendenti è la capacità di costruire tensione con lentezza, dosando ogni scena con cura. Non ci sono di fatto inquadrature e salti sulla sedia facili, tutto arriva piano insinuandosi nei dettagli, nei silenzi, negli sguardi, per poi esplodere in modo memorabile. Tutto, dalla fotografia ai suoni, dal montaggio ai dialoghi, è orchestrato per far crescere la suspense e accompagnare lo spettatore in un viaggio profondo, spesso disturbante, ma sempre significativo.
Peele ama anche mescolare i generi, spingendo l’horror verso territori nuovi, e nei suoi film si incontrano thriller psicologici, momenti di pura fantascienza e incursioni nella commedia nera. Una contaminazione che non indebolisce il suo stile ma al contrario lo rafforza, e ogni opera è un mondo complesso e stratificato, ricco di allegorie e simboli che chiedono di essere decifrati.
Le sue influenze? Grandi nomi, ma rielaborati con originalità. Da Hitchcock ha ereditato l’arte della suspense; da Kubrick, l’eleganza visiva e l’ossessione per l’atmosfera disturbante; da Carpenter, l’energia ruvida dell’horror sociale; e da Rod Serling, creatore di The Twilight Zone, l’abilità di raccontare il presente attraverso storie fantastiche e sinistre. Non a caso, nel 2019 Peele ha rilanciato proprio The Twilight Zone, producendone una nuova versione e diventandone anche il narratore.
Ma è con Get Out, il suo primo film da regista, che Peele ha fatto qualcosa di rivoluzionario mostrando al mondo che l’horror può essere più di un genere di evasione, diventando uno strumento potente per parlare del presente delle nostre paure reali, e dei problemi ancora irrisolti della società.
Il film è stato un successo clamoroso e gli è valso l’Oscar per la Miglior Sceneggiatura Originale – un traguardo storico, che ha reso Peele il primo regista afroamericano a vincere quel premio. Ma, più ancora dei riconoscimenti, è stato l’impatto culturale a contare: dopo Get Out, il modo in cui si guarda e si scrive horror non è più lo stesso.
E il suo lavoro però non si ferma alla regia, e con Monkeypaw Productions, la sua casa di produzione, Peele ha dato spazio a nuovi autori, nuove storie, nuovi sguardi. Monkeypaw è oggi sinonimo di cinema coraggioso, originale e inclusivo: un laboratorio creativo che spinge il confine dell’intrattenimento verso territori nuovi e necessari. In un’industria che troppo spesso si ripete, Peele e la sua squadra continuano a sorprendere, aprendo le porte a un modo diverso – e più consapevole – di raccontare il mondo.
Horror, Identità e Spettacolo
Il percorso registico di Jordan Peele è composto, finora, da tre film che hanno cambiato il volto dell’horror contemporaneo. Ciascuno racconta una storia diversa, ma tutti condividono un approccio profondo e visionario.
Il viaggio comincia nel 2017 con Get Out, una pellicola che affronta il razzismo con uno sguardo nuovo, attraverso l’esperienza di Chris, un giovane afroamericano che si ritrova intrappolato in un incubo psicologico quando va a conoscere i genitori della sua fidanzata bianca, dietro cui l’apparente cortesia si nasconde un progetto terrificante, che mette in discussione l’idea stessa di tolleranza. Il concetto del Sunken Place, dove Chris viene intrappolato mentalmente, è diventato un’icona: una metafora potente della marginalizzazione e della perdita di voce. Con un budget ridotto e un’idea fortissima, Peele ha dato vita a un vero e proprio caso cinematografico.
Nel 2019, con Us, alza l’asticella: abbandona la denuncia più diretta e si avventura in un racconto ancora più simbolico, in cui una famiglia americana viene assalita dai propri sosia, “doppi” che sono mostri ma anche specchi che incarnano le parti rimosse, dimenticate, abbandonate di ciascuno di noi, e dell’intera società. Più criptico e stratificato, Us è un film che non cerca di essere compreso subito, ma invita alla riflessione. Lupita Nyong’o regala una doppia interpretazione straordinaria, in un film che gioca con il mito dell’America e lo rovescia con intelligenza e ferocia.
Infine, nel 2022, arriva Nope, il suo film più ambizioso e visivamente spettacolare. Ambientato in una valle deserta della California, segue due fratelli che scoprono nel cielo una presenza misteriosa: non un classico UFO, ma una creatura viva, affamata di attenzione. Qui, Peele riflette sul nostro rapporto ossessivo con l’immagine, con lo spettacolo, con il bisogno di “guardare” e “catturare” tutto. Girato in IMAX, con sequenze mozzafiato e momenti di pura tensione, Nope è un’opera matura, che fonde fantascienza, western e horror per raccontare qualcosa di profondamente umano: il desiderio di essere visti, e la paura di ciò che guardiamo troppo da vicino.
In pochi anni, Peele ha costruito una trilogia non ufficiale che esplora le ansie del nostro tempo, tra razzismo, identità e consumo mediatico. Ogni film è diverso, ma tutti spingono a guardare oltre la superficie, là dove si nascondono le nostre paure più vere.
Un Nuovo Modo di Raccontare la Paura
Jordan Peele ha dimostrato quindi che l’horror può essere molto più che intrattenimento: può diventare arte, denuncia, strumento di cambiamento. Con un linguaggio visivo originale e una narrazione sempre densa di significati, ha portato nuova linfa al cinema di genere, rendendolo più profondo, più coraggioso, più necessario. La sua influenza si avverte già in tanti nuovi autori, ma anche nella crescente attenzione verso un cinema dell’orrore che non ha paura di pensare — e di far pensare.
Peele non si limita a raccontare storie spaventose: racconta il mondo attraverso l’incubo, ci mette davanti a verità che spesso preferiremmo ignorare, e lo fa con intelligenza, ironia e una visione che lo ha già reso uno dei maestri del nostro tempo.
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Emanuela Giuliani