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Karate Kid: Legends, la recensione: un passaggio che emoziona, ma non colpisce

Karate Kid: Legends, la recensione del nuovo capitolo dell’iconico franchise, un passaggio che emoziona, ma non colpisce,

Nel corso degli anni, il franchise Karate Kid si è affermato come un vero e proprio cult. Tutto ha avuto inizio nel 1984 con Per vincere domani – The Karate Kid, che ha saputo conquistare il pubblico bilanciando emozioni, crescita personale e combattimenti coinvolgenti. Il successo del film ha portato alla realizzazione di tre sequel: Karate Kid II – La storia continua…(1986) e Karate Kid III – La sfida finale (1989), entrambi diretti da John G. Avildsen, e Karate Kid 4 – The Next Karate Kid (1994), diretto invece da Christopher Cain.

Film che hanno ampliato l’universo narrativo, mantenendo al centro le stesse tematiche di formazione e riscatto personale, e che sono rinati, se così si può dire, nel 2010 con The Karate Kid – La leggenda continua: un reboot che, pur riprendendo la struttura narrativa originale, ha introdotto nuovi personaggi, interpretati da Jackie Chan e Jaden Smith, nonché significative differenze, come il passaggio dal karate al kung fu e l’ambientazione in Cina.

Una seconda evoluzione è arrivata nel 2018 con Cobra Kai, la serie televisiva che ha riportato in scena i protagonisti storici, riprendendo le loro storie trent’anni dopo gli eventi originali. Composta da sei stagioni, la serie ha saputo attrarre sia i fan di lunga data sia una nuova generazione di spettatori, grazie a un riuscito equilibrio tra nostalgia e innovazione.

Nonostante ciò, il cuore della saga è rimasto immutato: adolescenti alle prese con difficoltà personali e vittime di bullismo che, guidati da un mentore esperto di arti marziali, riescono a riscoprire la fiducia in sé stessi e a superare le proprie paure. Un percorso di formazione, fatto di allenamenti, disciplina e riflessione interiore, che culminava in tornei simbolici in cui non veniva messa alla prova soltanto l’abilità fisica, ma soprattutto la maturità raggiunta.

Ora il franchise si prepara a rinnovarsi ancora una volta con Karate Kid: Legends, in uscita nelle sale italiane dal 5 giugno, e che unendo passato e presente, vede Jackie Chan e Ralph Macchio ritornare nei panni di Mr. Han e Daniel LaRusso, per guidare Li Fong (Ben Wang), un giovane trasferitosi a New York con la madre, costretto a confrontarsi con un ambiente ostile e un campione locale di karate. Deciso a reagire, Li intraprenderà un percorso di crescita personale e allenato dai due sensei, imparerà a combinare kung fu e karate, affrontando la sfida più grande: superare i propri limiti e paure interiori, dovuti al fatto di non essere riuscito a salvare il fratello da una fatale aggressione.

Karate Kid: Legends: il combattimento più difficile è con se stessi

Con Karate Kid: Legends, la celebre saga marziale torna quindi sullo schermo, ma, a differenza dei capitoli precedenti, oltre a raccontare le difficoltà vissute dagli adolescenti, la lotta contro le ingiustizie quotidiane e il potere trasformativo dell’insegnamento, prova ad affrontare, con la semplicità che da sempre contraddistingue il franchise, anche temi più intimi, quali l’elaborazione del lutto, il senso di colpa e la difficile ricerca di sé stessi.

La narrazione costruisce di fatto un percorso di guarigione, in cui la vera sfida non è vincere un torneo, ma imparare ad accettare il proprio passato e ritrovare un equilibrio interiore, dal momento che Li Fong, come detto, trasferitosi con la madre da Pechino a New York, pratica kung fu e non karate, e, per l’appunto, si ritrova a confrontarsi con un ambiente ostile, un rivale privo di scrupoli e il dolore del trauma che si porta dentro.

Così facendo, non solo il bullismo, tematica centrale dell’intera saga, più che con la violenza e il sopruso, viene filtrato attraverso lo sguardo dell’esclusione, dell’inadeguatezza e della perdita di fiducia in sé stessi con il film che, coniugando la nostalgia con un’atmosfera più attuale, prende spunto sia dal film originale sia dal reboot del 2010, mettendo in scena in modo sufficientemente evocativo, con coreografie e ambientazioni fedeli allo stile della saga, la distanza culturale e interiore che separa Li dal mondo che lo circonda.

Differenze che fanno, di conseguenza, del film un racconto di formazione sul dolore, sulla resilienza e sulla capacità di ritrovare la propria voce, con la speranza di portare Karate Kid, a distanza di quarant’anni, a un nuovo livello, senza tradirne però lo spirito originario.

In questo senso, il ritorno e l’inedita alleanza tra Ralph Macchio e Jackie Chan rappresentano un possibile passaggio di testimone tra due generazioni di racconti che, pur affondando le radici in epoche diverse, condividono gli stessi valori delineando così un ideale ponte che mira a una nuova fase narrativa e al coinvolgimento di un pubblico più ampio e trasversale.

Un pubblico che abbracci non solo coloro che sono cresciuti con le imprese di Daniel LaRusso, ma anche le nuove generazioni che apprestano a scoprire per la prima volta all’universo di Karate Kid. Attraverso la fusione di linguaggi, tematiche e sensibilità differenti, il film cerca di costruire una nuova connessione in cui la nostalgia si mescola all’energia del presente.

Tuttavia, questo intreccio tra memoria e innovazione, se da un lato intrattiene riuscendo a evocare emozioni sincere che confermano il valore simbolico della saga, dall’altro mostra i limiti di una premessa che non aggiunge nulla e fatica a imprimere un proprio segno, mancando di quella forza narrativa capace di rinnovare in profondità il mito originario.

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Emanuela Giuliani

Il Voto della Redazione:

6


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