La Casa di Jack, la recensione: l’oscurità dell’animo umano

La casa di Jack, la recensione Lars von Trier firma un’opera disturbante e affascinante sull’oscurità dell’animo umano.

Con La casa di Jack, il visionario regista danese Lars von Trier, già autore di capolavori provocatori come Dancer in the Dark, Melancholia, Nymphomaniac e Antichrist, torna a sconvolgere e sedurre lo spettatore attraverso una delle sue opere più complesse, crude e lucidamente filosofiche. Il film, che si muove tra thriller e horror, si presenta come un’indagine feroce e intellettualmente stimolante sulla follia, l’arte e la colpa.

Ambientato nell’America degli anni ’70 e raccontato attraverso cinque episodi, o “incidenti”, il film segue Jack, un serial killer interpretato da uno straordinario Matt Dillon, in un percorso di consapevolezza e autoanalisi. Ogni delitto diventa, per Jack, una forma d’espressione artistica, uno sforzo disperato e pervertito di trovare un senso nell’esistenza, una tensione costante tra il desiderio di controllo assoluto e la ricerca di una verità più profonda, forse irraggiungibile.

Dillon, in una delle performance più intense della sua carriera, dona al personaggio una freddezza spiazzante e una sensibilità sotterranea che lentamente affiora, fino a diventare il cuore stesso del film. Come da lui stesso raccontato, entrare nella psiche di Jack ha richiesto un processo quasi catartico: “Ho dovuto annullare una parte di me stesso per entrare in contatto con lui”, ha dichiarato, evidenziando la complessità di un ruolo che sfida le convenzioni attoriali e morali. Il suo Jack è un uomo tormentato, lucido nella sua follia, profondamente consapevole della sua malattia eppure incapace – o forse non intenzionato – a opporle resistenza.

A guidarlo nel suo viaggio allucinato e allegorico è Virgilio, figura dantesca interpretata con toccante sobrietà da Bruno Ganz, alla sua ultima, indimenticabile prova. La presenza di Ganz dona al film una dimensione metafisica, quasi mistica: il dialogo tra Jack e Virgilio si trasforma progressivamente in un confronto sull’arte, sull’etica e sul senso della punizione, portando il film in territori filosofici rari nel cinema contemporaneo.

Von Trier non si limita a raccontare una storia di violenza: La casa di Jack è anche un’esplorazione sul senso dell’arte, sulla tensione tra bellezza e distruzione, tra ordine e caos. Il regista usa la figura del serial killer per riflettere sul ruolo dell’artista, sull’ossessione per il controllo e sulla necessità, spesso distruttiva, di lasciare un segno. La violenza – mai gratuita, sempre contestualizzata – si fa strumento di riflessione e turbamento, portando lo spettatore a interrogarsi su quanto la realtà possa essere distorta dallo sguardo di chi la vive.

Dal punto di vista visivo, il film è volutamente spoglio, quasi glaciale, in linea con la cifra stilistica del Dogma 95 di cui Trier è stato tra i fondatori. La fotografia accentua il senso di claustrofobia e isolamento che pervade l’intera pellicola, e le scelte di montaggio e colonna sonora contribuiscono a creare un’atmosfera ipnotica, disturbante, ma paradossalmente anche magnetica.

La narrazione, strutturata come un viaggio infernale in stile dantesco, culmina in una discesa negli abissi – reali e simbolici – dell’inconscio umano. Il climax finale, ambientato negli inferi, è tanto inquietante quanto lirico: un momento di altissima potenza simbolica in cui Jack, per la prima volta, si confronta davvero con la possibilità della dannazione e della redenzione.

Certo, La casa di Jack non è un film facile né per tutti. Richiede attenzione, apertura mentale e una certa predisposizione a lasciarsi scuotere, ma chi accetta di intraprendere questo viaggio troverà un’opera potente, viscerale, capace di rimanere impressa nella memoria per molto tempo. Non è solo un film su un assassino seriale: è una meditazione cupa e coraggiosa sul male, sull’arte e sulla fragilità dell’essere umano.

Con La Casa di Jack, Lars von Trier dimostra ancora una volta di essere uno dei pochi registi contemporanei in grado di affrontare tematiche così complesse con una visione personale, profonda e disturbante. Un film che divide, ma proprio per questo ha la forza di diventare imprescindibile.

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Emanuela Giuliani

Il Voto della Redazione:

7


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