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La Grazia, recensione: Paolo Sorrentino apre Venezia 82 tra il peso del vivere e la fede del dubbio

Paolo Sorrentino inaugura Venezia 82 con La Grazia, tornando al Lido tra il peso di vivere e la fede del dubbio.

Paolo Sorrentino con La Grazia apre ufficialmente l’82ª Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, segnando il suo ritorno sul tappeto rosso del Lido e aggiungendo un ulteriore tassello alla ventennale relazione con la Biennale.

Era il 2001, infatti, quando il regista partenopeo presentava L’uomo in più, dando inizio a un percorso artistico che lo avrebbe portato a imporsi come una delle voci più originali del cinema europeo. Solo tre anni dopo, con Le conseguenze dell’amore, ne sanciva la definitiva affermazione, mentre È stata la mano di Dio, del 2021, ne ha riconfermato la forza espressiva, lo stile visivo riconoscibile e un universo narrativo costruito tra lirismo e ironia.

E ora, con La Grazia, Sorrentino non solo rinnova questo immaginario, ma lo approfondisce spostandosi su un piano più intimo, riflessivo e decisamente veritiero. Al centro della storia, Mariano De Santis, Presidente della Repubblica ormai giunto alla fine del suo mandato, e padre di Dorotea, anch’ella giurista. Vedovo, cattolico e giurista di profonda cultura, De Santis si trova ad affrontare due richieste di grazia che lo costringono a misurarsi con questioni morali tanto complesse quanto personali.

La luce e il peso di vivere

Presentato in anteprima mondiale Paolo Sorrentino con La Grazia sorprende per il tono misurato e profondamente meditativo, abbandonando l’opulenza barocca che ha spesso caratterizzato la sua poetica, per inoltrarsi in territori più intimi, fragili e silenziosi, scanditi da pause e sguardi riflessivi, con una Roma spogliata della sua grandiosità.

Una città eterna più vulnerabile, che diventa lo specchio delle turbolenze emotive che attraversano la narrazione e i suoi personaggi, con al centro temi di grande intensità e attualità quali: il senso della fede, il peso della memoria e soprattutto, il difficile cammino del discernimento tra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, nonché questioni etiche complesse come quella dell’eutanasia, senza però cercare risposte definitive o facile. Al contrario, La Grazia si presenta come un invito alla riflessione, uno spazio aperto in cui lo spettatore è chiamato a confrontarsi con le proprie incertezze e le proprie domande, senza essere spinto verso una conclusione morale.

La Grazia è un film che interroga senza giudicare, che suggerisce senza imporre con uno sguardo capace di farsi attraversare dal dubbio e dalla complessità, dove il tempo agisce come un giudice tacito e paziente. Un senso di mistero e di lentezza nella scoperta personale, cuore pulsante del film, che vive proprio nella sua capacità di evocare piuttosto che spiegare, di dialogare con la realtà in modo sottile e mai didascalico.

Un limbo dove i dilemmi dei protagonisti risuonano in modo universale, riflettendo sul presente e trasformando la giustizia in uno spazio interiore sfumato e incerto dove non esistono verità assolute, ma solo tentativi di comprensione e accettazione di ciò che è indefinibile, la cui compostezza formale e rigorosa crea un’aura contemplativa intorno alla storia. Ogni inquadratura è pensata con cura e precisione non per compiacersi, ma per sostenere e arricchire il racconto con delicatezza e profondità.

Un’esperienza La Grazia, che si nutre di mistero, di scoperte lente, personali e che vive proprio nella sua capacità di suggerire, più che spiegare, che dialoga con la realtà in modo elegante, sottile e mai didascalico. I dilemmi dei protagonisti trovano eco in questioni attuali e universali, facendo del film uno specchio della complessità morale del nostro presente, con la giustizia che diventa uno spazio interiore, sfumato e incerto, in cui non esistono verità assolute ma solo tentativi di comprensione.

Il peso dell’anima nei volti

Toni Servillo, ancora una volta, si conferma una presenza scenica di rara intensità, capace di catalizzare l’attenzione dello spettatore con una naturalezza disarmante. Il suo volto, solcato da espressioni minime ma eloquenti, diventa uno strumento narrativo potentissimo, che comunica più delle parole stesse, con sensibilità, incarnando le ambiguità, le fragilità e la malinconia del suo personaggio. Ogni gesto, ogni pausa, ogni sguardo è calibrato con estrema attenzione, rivelando un tormento ma mai esibito, diviso tra un passato che non vuole dimenticare e un futuro scritto nel vuoto.

Accanto a lui, Anna Ferzetti nel ruolo di Dorotea, la figlia del Presidente, che si muove tra razionalità e sentimento, tra dovere e verità, facendo emergere un conflitto interiore che si rivela nei dettagli più piccoli. La sua presenza è sobria ma magnetica, capace di comunicare, anche nei momenti più densi e trattenuti, il peso di una coscienza in lotta per trovare chiarezza.

Il peso dell’esistenza

La Grazia è un film maturo, consapevole, che non cerca di stupire, ma di scavare, affidandosi al ritmo della contemplazione, e ci invita a riflettere su ciò che resta quando si smette di cercare risposte assolute. È l’affresco di un’umanità fragile che si domanda come vivere e quando smettere di farlo, senza mai alzare la voce, lasciando che ogni gesto, ogni silenzio e ogni sguardo portino con sé il peso e la bellezza del mistero dell’esistenza.

Paolo Sorrentino firma un’opera che si guarda con il cuore e con la testa, che non ha l’urgenza di spiegare, ma il coraggio di osservare. Un cinema che non teme l’ambiguità, che abita le zone d’ombra del pensiero e lascia spazio allo spettatore per trovarvi il proprio senso, che si prende il tempo di ascoltare, prima di rispondere, e che in questo ascolto paziente trova la sua forza. Un’opera che seminare domande, ed è proprio in questa scelta che risiede, forse, la sua grazia più autentica.

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Emanuela Giuliani

Il Voto della Redazione:

9


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