Emma Stone e Ryan Gosling in La La Land

La La Land: il sogno che danza tra le stelle

La La Land, il sogno che danza tra le stelle del film scritto e diretto da Damien Chazelle, con Ryan Gosling ed Emma Stone.

Quando La La Land debuttò nel 2016 come film d’apertura alla 73ª Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, fu subito chiaro: non era solo un musical, ma una vera e propria lettera d’amore al cinema, alla musica e ai sogni. Diretto da Damien Chazelle, già acclamato per il ritmo incalzante di Whiplash, il film si trasformò in un fenomeno globale, incassando oltre 446 milioni di dollari e conquistando 14 nomination agli Oscar — un traguardo raggiunto solo da Titanic e Eva contro Eva. Ne vinse sei, tra cui miglior regia, miglior attrice protagonista per Emma Stone, fotografia e colonna sonora.

Al centro della storia ci sono Mia (Emma Stone), un’aspirante attrice che sogna di calcare il palcoscenico, e Sebastian (Ryan Gosling), un pianista appassionato di jazz autentico. I loro destini si incrociano nella Los Angeles delle illusioni, dei neon e dei cieli stellati — una città che Chazelle trasforma in un personaggio vivo, pulsante, capace di accogliere e tradire, come solo i sogni sanno fare.

Il loro amore nasce come una melodia perfetta, ma presto si confronta con le difficoltà del tempo, delle scelte, e dei sacrifici richiesti dalla fedeltà a sé stessi. La musica di Justin Hurwitz accompagna ogni svolta, vibrando tra dolcezza e impeto, trasportando lo spettatore in una dimensione dove l’arte e i sentimenti si fondono fino a diventare poesia visiva e sonora.

Ma La La Land non è solo romanticismo. È una riflessione lucida e malinconica sul prezzo dei sogni, su ciò che si guadagna e su ciò che si perde. Nel suo finale struggente, il film abbandona ogni retorica per offrire qualcosa di più raro: la verità di un amore che, pur non sopravvivendo, rimane eterno nella memoria.

Un progetto nato dal coraggio di sognare

Tutto è cominciato con un sogno: un musical ambientato nella Los Angeles dei sogni infranti e delle possibilità infinite, dove amore, arte e destino si intrecciano in una sinfonia malinconica. Damien Chazelle concepì La La Land nel 2010, quando era ancora un giovane regista neolaureato ad Harvard, e nonostante la freschezza della sua visione, il progetto fu accolto con diffidenza a Hollywood. Gli studios non erano pronti ad abbracciare un film che sembrava uscire da un’altra epoca: troppo sentimentale, troppo musicale, troppo audace in un’industria che preferiva il sicuro ai sogni.

Gli chiesero di cambiarlo, di trasformare la città, togliere le canzoni, rendere tutto più accessibile, meno visionario, ma Chazelle, come un artista che rifiuta di diluire la propria voce, resistette. La La Land doveva restare esattamente ciò che era: un atto d’amore per il cinema classico, per i colori di Jacques Demy, per le melodie di Michel Legrand, per i tramonti su Los Angeles, per il desiderio puro e spesso ingenuo di farcela, di diventare qualcuno.

Il destino cambiò volto dopo il trionfo di Whiplash nel 2014, che dimostrò il talento viscerale di Chazelle e il suo straordinario controllo del ritmo, della tensione, della narrazione. Finalmente, ottenne carta bianca per girare La La Land come lo aveva sognato fin dall’inizio.

Il film divenne un successo globale, un fenomeno culturale, e fu al centro di uno degli episodi più eclatanti della storia degli Academy Awards. Nella notte degli Oscar del 2017, La La Land fu annunciato erroneamente come vincitore del premio per il Miglior Film. Cast e produttori salirono sul palco, commossi, pronti a celebrare. Ma pochi minuti dopo, Jordan Horowitz — con una calma e una dignità straordinarie — mostrò la vera busta e annunciò al mondo che il premio andava invece a Moonlight. Quella notte, segnata da imbarazzo e stupore, finì per esaltare l’umanità dei protagonisti, rivelando cosa significa davvero essere parte del cinema: accettare l’imprevisto, restare eleganti nella delusione, continuare a sognare.

Gosling, Stone e… il jazz

Nel cuore pulsante di La La Land c’è il jazz — non solo come colonna sonora, ma come metafora della vita stessa: improvvisazione, passione, rischio. Ryan Gosling non ha semplicemente recitato nel ruolo di Sebastian: lo ha incarnato. Per mesi infatti si è immerso nello studio del pianoforte jazz, imparando realmente a suonare ogni nota che sentiamo nel film. Nessuna controfigura, nessuna magia del montaggio: solo impegno, dedizione e rispetto per l’arte.

Sebastian è l’ultimo dei romantici, un sognatore anacronistico che crede ancora nella purezza del suono, nel potere della musica di cambiare le vite. Il personaggio si ispira a leggende come Hoagy Carmichael, Bud Powell e Thelonious Monk — figure che hanno rivoluzionato il jazz con la loro visione e la loro ostinazione. Gosling riesce a trasmettere tutto questo: la frustrazione di un artista che lotta per la propria identità, il fascino di chi crede ancora in qualcosa di vero.

Emma Stone, dal canto suo, incarna Mia con una delicatezza e una forza che lasciano il segno. Il ruolo era inizialmente destinato a Emma Watson, ma fu proprio l’interpretazione di Stone in Cabaret a Broadway a convincere Chazelle che nessun’altra attrice avrebbe potuto rendere così autentico il sogno (e la delusione) di Mia. L’intesa con Gosling, affinata già in due film precedenti, trova qui la sua massima espressione: ogni sguardo, ogni pausa, ogni risata tra i due sembra vera, vissuta, personale. Insieme, creano una danza invisibile fatta di sguardi, sogni e note sospese.

Una scena d’apertura epica

C’è una promessa implicita nel primo minuto di La La Land: che questo film non sarà come gli altri. La sequenza iniziale, Another Day of Sun, è una vera dichiarazione d’intenti. Un’orgia di colori, movimento e gioia che trasforma un ingorgo autostradale in un palcoscenico a cielo aperto. L’illusione del piano sequenza cattura l’attenzione e toglie il fiato: non si tratta solo di un numero musicale, ma di un inno alla vitalità stessa del cinema.

Girata in piena estate su un cavalcavia dell’autostrada 105 di Los Angeles, la scena coinvolge oltre 100 ballerini, musicisti, acrobati e una troupe tecnica che ha lavorato per settimane per rendere possibile ciò che sembra spontaneo. Mandy Moore (la coreografa, vincitrice di un Emmy per il suo lavoro) ha orchestrato tutto con precisione maniacale: ogni passo, ogni inquadratura, ogni cambio di colore è calibrato come una sinfonia visiva.

Il risultato è una sequenza che, da sola, sintetizza il cuore di La La Land: la voglia di ballare anche nel traffico, di cantare in mezzo al caos, di trovare bellezza anche quando tutto sembra immobile.

Una ballata per chi crede ancora nei sogni

La La Land è una lettera d’amore al cinema, alla musica, all’arte… ma soprattutto alla speranza. È il racconto di due anime che si incontrano in un momento perfetto, si aiutano a crescere, si trasformano grazie all’amore reciproco — e poi si perdono. È una storia d’amore, sì, ma non quella che il cinema ci ha abituati a vedere. Qui l’amore non trionfa, non risolve tutto. Eppure, proprio per questo, è più reale, più intenso, più memorabile.

Il finale, sulle note di Epilogue, è una sinfonia di ciò che avrebbe potuto essere. Un sogno dentro un sogno, un universo parallelo in cui Mia e Sebastian hanno avuto il loro “e vissero felici e contenti”. Ma non è così. La vita li ha portati altrove, ognuno verso la propria realizzazione. E quel sorriso finale, quel breve incrocio di sguardi, vale più di mille parole: un riconoscimento silenzioso che, anche se non sono rimasti insieme, si sono amati davvero. E che quell’amore, anche se incompiuto, li ha resi chi sono.

La La Land è una ballata per chi non ha smesso di sognare. Per chi ha fallito, è caduto, ha pianto — ma ha continuato a credere. È la celebrazione di ciò che è effimero ma eterno, come una nota che svanisce nell’aria ma resta nella memoria. È una promessa: che anche quando la vita ci chiede di scegliere, possiamo sempre danzare, almeno per un attimo, sotto le stelle.

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Emanuela Giuliani


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