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La Lezione, la recensione: un thriller psicologico dai contorni sfocati

La Lezione di Mordini è un thriller psicologico freddo, che sfiora il trauma e la manipolazione senza davvero approfondirli.

Dopo essersi fatto notare con titoli come Pericle il nero, Il testimone invisibile e La scuola cattolica, Stefano Mordini torna dietro la macchina da presa con La Lezione, presentato alla 20ª edizione della Festa del Cinema di Roma nella sezione Grand Public.

Conosciuto per il suo interesse verso storie moralmente ambigue e personaggi in bilico tra colpa e redenzione, il regista realizza un thriller psicologico che ambisce a esplorare tematiche complesse e attualissime: la violenza di genere, il potere, la manipolazione emotiva e il trauma. Temi centrali nel dibattito sociale contemporaneo, che però il film sceglie di affrontare con uno sguardo troppo calcolato, freddo, quasi trattenuto — finendo così per soffocarne l’urgenza emotiva.

La sottile linea tra colpa e innocenza

Che cosa significa avere paura, ma non poterla mostrare? In La Lezione, la minaccia non si fa sentire con urla o violenza evidente, ma si nasconde nel quotidiano: negli sguardi, nei silenzi, nei piccoli gesti che non fanno rumore ma logorano dentro. La storia segue Elisabetta (Matilda De Angelis), giovane avvocatessa di Trieste, chiamata a difendere un professore universitario (Stefano Accorsi) accusato di violenza sessuale. Dopo l’assoluzione, lui le chiede di avviare una causa civile contro l’università, ma lei rifiuta. Da quel momento, nella vita di Elisabetta ricompaiono segnali inquietanti, che sembrano legati al suo ex compagno, già condannato per stalking. Tra minacce invisibili, il confine tra realtà e paranoia si fa sempre più sottile, e il dubbio di non essere creduta diventa una nuova, silenziosa prigione.

Il film si muove in una zona grigia: quella violenza che non si vede, ma si sente dentro. La paura di Elisabetta è muta, sottile, difficile da spiegare anche a se stessa. Un senso di confusione e impotenza che molte donne conoscono quando la minaccia non è chiara, ma fatta di mezze parole, gesti ambigui e silenzi pesanti, è difficile farsi ascoltare. E ancora più difficile è essere credute.

A tal proposito, La Lezione prova a raccontare la dinamica disturbante tra vittima e carnefice. Il professore, interpretato da Stefano Accorsi, è l’archetipo del potere che si esercita senza mai alzare la voce, ogni sua parola è studiata per insinuare il dubbio, manipolare, colpevolizzare. Nessuna violenza esplicita, nessuna minaccia aperta: solo una strategia sottile che svuota la realtà della vittima e la isola gradualmente. Si tratta di una forma di abuso psicologico spesso sottovalutata, minimizzata e resa invisibile proprio dal contesto che la alimenta e la legittima.

Le interpretazioni di Matilda De Angelis e Stefano Accorsi sono tra i pochi elementi che reggono il film. La De Angelis, riesce a trasmettere la vulnerabilità e la lotta interiore di Elisabetta, catturando la confusione e la paura che si nascondono dietro la sua apparente calma. Accorsi, dal canto suo, veste con freddezza il potere manipolatore del professore, che esercita il controllo senza clamore. Entrambi riescono quindi a rendere credibili i conflitti interiori dei loro personaggi, anche se la sceneggiatura e la regia non sempre li supportano pienamente nel far emergere tutti i loro tormenti.

Se da un lato il film solleva temi urgenti, dall’altro manca l’approfondimento: la violenza psicologica resta in superficie e la messa in scena è troppo distante per trasmetterne il peso. Elisabetta appare spesso sola, come molte donne che vivono abusi silenziosi: circondata da colleghi scettici, istituzioni distratte, relazioni che le chiedono lucidità quando avrebbe solo bisogno di essere ascoltata.

Ma, il limite più evidente di La Lezione è la sceneggiatura, che si affida a meccanismi prevedibili e poco credibili. I momenti chiave sembrano forzati, i personaggi cambiano senza un’evoluzione naturale, e molte scene seguono le regole del thriller più che approfondire il dramma. Il ritmo lento, invece di creare tensione, la disperde, rendendo difficile entrare in sintonia con Elisabetta, il vero cuore della storia. Le sue paure restano superficiali, e il confine tra realtà e paranoia appare poco convincente, perché il film non riesce a farci sentire davvero il trauma.

Dal punto di vista tecnico, i colori freddi e spenti fanno sentire l’isolamento e il disagio della protagonista, e gli ambienti vuoti riflettono il suo stato d’animo. Ciò nonostante, proprio questa attenzione all’aspetto visivo creare un ulteriore distanza, dal momento che il film tutto sommato è una visione piacevole, ma non coinvolge.

Un’occasione sprecata

La Lezione aveva tutte le premesse per essere un film necessario, capace di far riflettere su temi importanti: l’amore non è possesso, cos’è la verità, chi ha il potere di raccontarla e perché le vittime non vengono credute.

Tratto dall’omonimo romanzo di Marco Franzoso, il film perde però molto rispetto al libro, che approfondisce con intensità le dinamiche di potere e manipolazione psicologica. Nel romanzo, il trauma e l’abuso sono esplorati a fondo, con una forte tensione emotiva e una riflessione chiara sulla fragilità delle vittime e sulle menzogne che le circondano, offrendo uno sguardo più crudo e autentico sul dolore.

Questa differenza trasforma il film, nonostante le buone intenzioni, in un’occasione sprecata. Mordini adotta un approccio freddo che smorza ogni tensione. Temi forti — dalla solitudine delle vittime alla manipolazione psicologica, dalla giustizia come retorica alla violenza invisibile — sono solo accennati, lasciando il racconto sospeso.

Quel che poteva essere un thriller scomodo e attuale diventa un dramma diluito, che guarda il dolore da lontano senza approfondirlo. Una narrazione che sfiora il trauma senza attraversarlo, lasciando più frustrazione che consapevolezza. Una lezione mancata, in tutti i sensi.

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Emanuela Giuliani

Il Voto della Redazione:

5


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