La sceneggiatura completa di Jay Kelly: il viaggio interiore dell’attore tra identità, memoria e seconde possibilità.
Presentato in anteprima all’82esima Mostra del Cinema di Venezia, passato poi per una distribuzione limitata nelle sale a novembre e infine approdato su Netflix, Jay Kelly — diretto da Noah Baumbach, autore della sceneggiatura insieme a Emily Mortimer — ha già raccolto numerosi riconoscimenti, tra cui proprio una candidatura ai Critics Choice Awards per la miglior sceneggiatura originale.
La storia segue l’omonimo protagonista interpretato da George Clooney, un attore celebre in piena crisi identitaria. Al suo fianco c’è Ron (Adam Sandler), manager e amico di lunga data, in un racconto che intreccia introspezione, malinconia e un umorismo sottile, capace di restituire con precisione tanto i rimpianti quanto i trionfi di un’intera esistenza.
Il film si apre con Jay travolto da una vertigine personale e professionale, acuita dalla morte dell’ex amico e regista Peter Schneider (Jim Broadbent). Il rimpianto per non aver partecipato a uno degli ultimi progetti del cineasta diventa il primo impulso verso un percorso interiore che si intensifica quando la figlia minore, Daisy (Grace Edwards), si prepara a partire per l’Europa. La prospettiva della distanza riaccende in Jay la paura di perdere il loro legame.
Il passato torna a bussare quando Jay incontra Tim (Billy Crudup), un compagno di corso di recitazione che gli confessa un rancore rimasto in sospeso per anni: una vecchia audizione con Schneider, vinta da Jay, avrebbe compromesso il futuro professionale di Tim. Questo confronto scuote profondamente il protagonista, spingendolo ad abbandonare il suo nuovo progetto e gettando nel caos il suo entourage, Ron compreso. In un impulso improvviso, Jay decide allora di raggiungere Daisy a Parigi senza preavviso, nel mezzo del suo tour promozionale in Italia.
Ha così inizio un duplice viaggio: uno fisico — tra treni, aerei e auto attraverso l’Europa — e uno mentale. La sceneggiatura, che grazie a Deadline, potete leggere qui: JAY KELLY —accompagna questa esplorazione con sequenze sospese tra sogno e memoria, veri e propri “set cinematografici” in cui Jay rivive momenti cruciali, relazioni passate e desideri giovanili mai realizzati.

Al centro del film c’è la domanda che attraversa ogni pagina: è possibile ricominciare e diventare una versione migliore di sé stessi? Attraverso il racconto di un attore, Baumbach e Mortimer riflettono sull’identità come performance e sulla distanza tra l’immagine pubblica e l’io autentico. Jay è costretto a fare i conti con le scelte che hanno plasmato la sua vita, soprattutto nel ruolo di padre e amico, indebolito da assenze, omissioni e paure.
La famiglia è una componente fondamentale. Jessica (Riley Keough), la figlia maggiore, porta il peso di un padre spesso distante; Daisy, al contrario, vive soffocata dalla sua iperprotezione. A ciò si aggiunge il complesso rapporto con il padre di Jay (Stacy Keach), un uomo duro, legato al mondo operaio e impermeabile al fascino di Hollywood, che rimette Jay di fronte alle proprie fragilità.
La sceneggiatura brilla per dialoghi affilati e per lo sguardo lucido sul mondo dello spettacolo, costruendo attorno al protagonista personaggi tridimensionali. Tra questi spicca Ron, figura centrale: fragile e solido allo stesso tempo, amico e manager, presenza affettuosa ma segnata dalle inevitabili tensioni di un rapporto professionale sbilanciato. Il film esplora anche il suo passato, in particolare la relazione finita con Liz (Laura Dern), la pubblicista di Jay.
Il racconto si chiude con una sequenza volutamente metacinematografica: un video tributo che ripercorre la carriera di Jay. Osservando la propria vita scorrere sullo schermo, il protagonista rompe la quarta parete e chiede di “ricominciare”. Un gesto che vibra tra desiderio, confessione e domanda universale: è davvero possibile rivivere ciò che si è perduto?






