La Stanza delle Meraviglie, la recensione

La recensione de La Stanza delle Meraviglie, il film diretto da Todd Haynes tratto dal romanzo di Brian Selznick.

La trasposizione cinematografica del romanzo di Brian Selznick, autore de “La straordinaria invenzione di Hugo Cabret” portato sul grande schermo da Martin Scorsese, “La stanza delle meraviglie”, diretta da Todd Haynes e sceneggiata dallo stesso Selznick, si configura come un sensibile e straordinario viaggio vissuto da due bambini appartenenti a epoche differenti, celatamente uniti dagli stessi sogni, speranze e obiettivi.

La pellicola sviluppa due percorsi narrativi paralleli che si intrecciano poeticamente attraverso un gioco di simmetrie visive ed emozionali, avvolti da un’atmosfera a tratti surreale. Il tempo è scandito dal ridondante silenzio imposto dalla sordità dei due protagonisti, una condizione che si fa metafora dell’isolamento e della ricerca interiore.

Rose (Millicent Simmonds) vive nel 1927 nel New Jersey, sordomuta dalla nascita e costretta a un’esistenza di solitudine dal padre, il quale, con un atteggiamento iperprotettivo, le impedisce di uscire ed esplorare il mondo. Stanca di questa reclusione forzata, un giorno decide di fuggire a New York per cercare la famosa attrice del cinema muto Lillian Mayhew (Julianne Moore), di cui ha raccolto fotografie e notizie in un album, sentendosi profondamente legata a lei da un misterioso filo del destino.

A cinquant’anni di distanza, Ben (Oakes Fegley) è un orfano del Minnesota che perde l’udito in seguito a un tragico incidente. Quando trova un indizio che potrebbe condurlo al padre che non ha mai conosciuto, decide di partire per New York in cerca della verità sulla sua famiglia. Entrambi i bambini intraprendono un viaggio alla ricerca di ciò che è stato loro negato, affrontando difficoltà simili in contesti temporali diversi.

L’assenza di una guida o di una figura di riferimento che li aiuti a comprendere il mondo circostante rende ancora più intensa la loro avventura. Né RoseBen conoscono il linguaggio dei segni, il che accentua ulteriormente il loro senso di smarrimento e isolamento. Tuttavia, proprio attraverso il loro silenzio, il film si trasforma in un’esperienza cinematografica visivamente suggestiva e profondamente emozionante.

“La stanza delle meraviglie” è un’opera che, pur concedendosi momenti di apparente staticità, non perde mai di intensità emotiva. La magia della storia emerge nella delicatezza con cui vengono alternati rimpianti e timori a scoperte sorprendenti e rivelazioni inaspettate. Ogni tassello del puzzle si incastra perfettamente, conducendo a un epilogo che è al tempo stesso commovente e rassicurante.

Todd Haynes, con la sua regia raffinata e sensibile, riesce a catturare la bellezza dell’innocenza e della speranza, utilizzando un linguaggio visivo che privilegia le immagini rispetto alle parole. La fotografia e la colonna sonora giocano un ruolo fondamentale nel creare un’atmosfera sospesa tra realtà e sogno, permettendo agli spettatori di immergersi completamente nella percezione sensoriale dei due protagonisti.

In definitiva, “La stanza delle meraviglie” è un film poetico e toccante che esplora il potere dell’immaginazione e la forza della determinazione, ricordandoci che, anche nei momenti di solitudine e smarrimento, esiste sempre una strada che conduce alla verità e alla serenità.

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Emanuela Giuliani

Il Voto della Redazione:

7


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