La Valle dei Sorrisi, la recensione dell’horror psicologico tra dolore rimosso e felicità forzata diretto da Paolo Strippoli.
Presentato fuori concorso all’82esima Mostra del Cinema di Venezia, La Valle dei Sorrisi è il nuovo film di Paolo Strippoli, già autore di Piove, qui affiancato alla sceneggiatura da Jacopo Del Giudice e Milo Tissone. Il film, distribuito da Vision Distribution e uscito nelle sale il 17 settembre, è un’opera a metà tra thriller psicologico e horror simbolico, ambientata in un villaggio di montagna dove il dolore sembra non esistere più.
Remis è un piccolo paese isolato tra le montagne del nord Italia, dove tutto sembra perfetto: la gente sorride, è gentile e sempre serena. Ma questa apparente armonia nasconde qualcosa di inquietante, e quando arriva Sergio Rossetti (Michele Riondino), ex campione di judo e supplente di educazione fisica, la tranquillità inizia lentamente a sgretolarsi. Sergio è un uomo segnato da un dolore profondo, mai superato, che lo rende estraneo alla calma irreale di Remis, il suo disagio si riflette nel suo comportamento e nel modo in cui si rapporta con gli altri, e ben presto si scontra con l’atmosfera artificiale del villaggio.
Il cuore del mistero è Matteo (Giulio Feltri), un ragazzo silenzioso e introverso, considerato una sorta di “guaritore”: basta abbracciarlo per sentirsi subito meglio, come se il dolore scomparisse. Questo potere, però, non è gratuito. Man mano che la storia si sviluppa, diventa chiaro che la felicità di Remis si regge su un equilibrio fragile e crudele, in cui Matteo è vittima e strumento di una comunità che ha scelto di cancellare la sofferenza invece di affrontarla.
Atmosfere sospese e identità represse
Strippoli prosegue nel suo percorso legato all’horror psicologico, affrontando il tema della rimozione del dolore nella società contemporanea. La Valle dei Sorrisi parla di come spesso cerchiamo scorciatoie per liberarci della sofferenza, anche a costo di sacrificare qualcuno. In questo caso, la vittima è Matteo, sfruttato da un sistema che mescola religione, potere e superstizione, guidato da un padre manipolatore interpretato con forza da Paolo Pierobon.
Il film riflette sul bisogno collettivo di evitare la sofferenza a ogni costo, trasformandola in qualcosa di invisibile, negato, quasi proibito. In questo senso, La Valle dei Sorrisi racconta una parabola molto attuale: viviamo in una società dove si è spinti a sorridere sempre, a mostrarsi felici anche quando non lo si è realmente, e dove il dolore è spesso percepito come una debolezza o un fallimento personale da nascondere agli altri e persino a se stessi.
Dal punto di vista visivo, la regia di Strippoli è particolarmente efficace nel creare un’atmosfera sospesa, surreale, quasi ovattata, le inquadrature sono spesso ordinate e simmetriche, conferendo l’idea di un mondo artificiale, rigidamente controllato, dove tutto deve restare nascosto dietro una maschera di serenità forzata. Ma, col passare del tempo, queste immagini perfette si fanno più cupe e disturbanti, e riflettono il progressivo crollo emotivo dei personaggi, così come la fragilità di quell’illusione di felicità.
Anche il paesaggio circostante assume un ruolo fondamentale: le montagne imponenti e la nebbia fitta creano un senso di isolamento e chiusura, come se Remis fosse un mondo a parte, quasi fuori dal tempo e dallo spazio, richiamando atmosfere mitiche e arcaiche, che avrebbero potuto essere sfruttato ancora meglio, soprattutto nelle parti legate all’occulto e alle credenze popolari, che restano solo accennate. Sarebbe stato infatti interessante approfondire maggiormente il legame tra il potere di Matteo e una spiritualità antica, forse pagana o radicata nella tradizione alpina, fatta di rituali e miti tramandati da generazioni. Questo avrebbe arricchito il racconto, rendendo il mistero più profondo e il senso di oppressione ancora più palpabile, invece di lasciarla relegata sullo sfondo.
I personaggi principali sono ben costruiti, ma alcuni restano un po’ statici. Tra questi Sergio è sicuramente il più stimolante: il suo dolore è autentico e umano, e il suo rapporto con Matteo si sviluppa in modo credibile, anche se prende una direzione prevedibile. Il ragazzo, invece, parte come figura misteriosa e affascinante, ma si riduce via via a un ruolo passivo, perdendo parte del suo potenziale drammatico, e anche la comunità infine resta abbastanza generica: si intuisce un sistema opprimente, ma non viene mai davvero approfondito.
Una delle principali debolezze del film sta nello sviluppo della trama, che dopo un inizio intrigante si svela troppo in fretta con le dinamiche chiare già a metà film, togliendo così spazio al dubbio e all’ambiguità. L’ultima parte prova a spingersi verso un finale più oscuro e disturbante, ma l’effetto è parziale: ci sono troppe conclusioni diverse, che si susseguono con toni contrastanti e poco coesi. Questo spezza il ritmo e riduce l’impatto emotivo di una chiusura che, se più compatta, avrebbe potuto colpire molto di più.
Un film non del tutto compiuto
La Valle dei Sorrisi è un film quindi che funziona in buona parte, ma non riesce a sfruttare pienamente le sue potenzialità: l’idea di base è originale, e il messaggio è attuale e importante, la regia è curata, l’atmosfera ben costruita e le interpretazioni convincenti. Tuttavia, la narrazione si appiattisce troppo presto, e alcuni spunti — come quelli legati all’occulto o al folklore — restano solo suggeriti, quando avrebbero potuto rendere il film ancora più suggestivo e profondo.
Nonostante queste riserve, si tratta comunque di un’opera valida che conferma la capacità di Strippoli di muoversi in un horror diverso dal solito, più psicologico che spettacolare, capace di far riflettere. Un film imperfetto ma che merita una visione, che con più coraggio avrebbe potuto lasciare un segno ancora deciso.
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Emanuela Giuliani
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