Roberto Andò torna al cinema con L’Abbaglio, che racconta tra storia e fantasia l’impresa dei Mille e del colonnello Orsini.
Dopo il successo de La stranezza, presentato alla Festa del Cinema di Roma nel 2022 e incentrato, con i toni ironici di una commedia in costume, sull’incontro tra Luigi Pirandello e una coppia di teatranti impegnati nella messa in scena di uno spettacolo, Roberto Andò torna in Sicilia per raccontare un momento cruciale del Risorgimento italiano: lo sbarco a Marsala di Garibaldi con i suoi Mille.
Scritto dallo stesso Andò insieme a Ugo Chiti e Massimo Gaudioso, L’Abbaglio, nelle sale dal 16 gennaio, riunisce gli stessi protagonisti de La stranezza, Toni Servillo, Salvo Ficarra e Valentino Picone, e mescola, in modo non sempre convincente, elementi teatrali e cinematografici. Il film si concentra in particolare sulla missione di Garibaldi e del colonnello Vincenzo Giordano Orsini, interpretati rispettivamente da Tommaso Ragno e Toni Servillo, per entrare a Palermo.
L’Abbaglio, tra realtà e finzione

Ambientato nel 1860, circondato dall’entusiasmo di mille giovani idealisti giunti da tutte le regioni d’Italia e affiancato dal suo fedele gruppo di ufficiali — tra i quali spicca il nuovo profilo del colonnello palermitano Vincenzo Giordano Orsini — Garibaldi inizia la sua avventura salpando da Quarto.
Sbarcati a Marsala, i Mille iniziano a combattere contro l’esercito regio, la cui netta superiorità numerica pone Garibaldi di fronte alla concreta possibilità di non riuscire a sfondare le difese nemiche per entrare a Palermo. Tra i volontari ci sono anche due reclute siciliane, Domenico Tricò e Rosario Spitale, interpretati da Salvo Ficarra e Valentino Picone: ben lontani dagli ideali e dal sogno di un’Italia unita, decidono ben presto di darsi alla fuga.
La strana coppia di disertori ha però motivazioni molto diverse: uno vuole tornare dalla presunta fidanzata, alla quale ha sempre scritto convinto — pur non avendo mai ricevuto risposta — che lei sia ancora lì ad aspettarlo; l’altro è semplicemente in fuga dai debiti di gioco accumulati, essendo un incallito baro. Il loro sarà un lungo vagabondare tra conventi e paesini abbandonati, che si intreccia con l’evolversi delle vicende dei Mille e di Garibaldi, il quale, ormai sul punto di ritirarsi, escogita un piano ingegnoso, affidando una manovra diversiva a Orsini.
Il colonnello dovrà organizzare una colonna di feriti, accompagnata da un manipolo di militi, con il delicatissimo compito di far credere a Jean-Luc Von Mechel, comandante svizzero dell’esercito borbonico, che Garibaldi stia effettivamente battendo in ritirata verso l’interno dell’isola. Una partita a scacchi giocata sul filo dell’imprevedibile, alla quale finiranno per prendere parte anche Domenico e Rosario. Il loro tragicomico peregrinare li porterà a ricongiungersi con l’esercito e, tra borghesi, briganti, contadini, madri e mogli che piangono i propri cari, promesse e tradimenti, tutto in nome della libertà, si giungerà a un esito inatteso — o forse no.
L’Abbaglio, l’Italia disillusa di Roberto Andò tra storia e finzione

“Squadra che vince non si cambia”: è da questo principio che Roberto Andò riparte, richiamando al suo fianco, come detto, Toni Servillo, Salvo Ficarra e Valentino Picone, per dar vita per l’appunto a L’Abbaglio, un’opera che affonda le sue radici proprio durante la lavorazione del film precedente. Un progetto nato dalla convinzione che solo questi interpreti potessero incarnare con autenticità e profondità i protagonisti di un racconto ispirato al romanzato, e ancora poco esplorato, retroscena della Spedizione dei Mille.
Il film si muove con eleganza lungo il confine labile tra realtà storica e finzione narrativa, dando voce a uno snodo cruciale del Risorgimento italiano attraverso lo sguardo disincantato dei personaggi principali, che intrecciano illusioni e disillusioni, slanci ideali e utopie disattese, in un’Italia ancora in ebollizione, sospesa tra sogno e disincanto. È il ritratto di un popolo, o meglio, di una sua parte, che nutriva grandi speranze nell’unificazione, ma che presto dovrà fare i conti con le ambiguità, le delusioni e i compromessi imposti dalla Storia.
Protagonisti della narrazione sono Domenico, Rosario e il colonnello Orsini: tre anime amareggiate, ciascuna portatrice di una visione diversa, ma tutte accomunate da una crescente sfiducia nel futuro. In particolare, Orsini, figura che Andò definisce come un anti-Gattopardo, rappresenta l’aristocratico democratico, l’intellettuale tormentato dal sospetto che la tanto agognata rivoluzione possa rivelarsi un inganno, incapace di migliorare davvero la condizione delle popolazioni meridionali. Non a caso, l’ambientazione temporale coincide con quella del celebre romanzo di Tomasi di Lampedusa, tracciando un ideale parallelo con le contraddizioni di un’Italia che sembra cambiare solo per restare, in fondo, sempre la stessa.
La ricostruzione scenografica e il lavoro sui costumi sono meticolosi, capaci di restituire un contesto storico vivido e credibile. Tuttavia, l’intento di liberarsi dalla retorica scolastica e rendere il racconto più attuale e coinvolgente si scontra, talvolta, con un’eccessiva teatralità con i lunghi monologhi di Orsini, dal sapore machiavellico e spesso autocompiaciuti, finiscono per rallentare il ritmo narrativo, privando il film di quella leggerezza drammatica che Andò, in altre opere, aveva saputo gestire con maggiore equilibrio.
L’Abbaglio si afferma così come un affresco cupo e malinconico del Sud, in particolare della Sicilia, dove la fiducia nel cambiamento sembra ormai un ricordo lontano. È una terra disillusa, che non crede più alle promesse e che, proprio per questo, si trasforma in un amaro specchio di un’Italia costruita su compromessi, illusioni perdute e opportunismi. Il tono del film oscilla volutamente tra comicità e dramma, in un’instabilità narrativa che diventa metafora del precario equilibrio politico e sociale dell’epoca.
Nel complesso, L’Abbaglio offre un ritratto a tratti sbilanciato, in cui affiora quella stessa retorica da cui cerca di affrancarsi, squilibrio all’interno del quale trova spazio la complessità di un Paese contraddittorio: generoso e passionale, ma anche cinico, calcolatore, spesso incapace di riconoscersi. Un’Italia che, come i suoi protagonisti, parla più nei silenzi che nelle parole, e che continua a cullare la speranza, o forse l’illusione, che a scrivere il prossimo capitolo possano essere i giovani, aggrappati con ostinazione al sogno di un mondo diverso.
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Emanuela Giuliani
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