La recensione di Le Mans ’66: La Grande Sfida, l’attesissimo film con protagonisti Matt Damon e Christian Bale.
“C’è un momento a 7.000 giri al minuto tutto svanisce. La macchina senza peso. Scompare. Resta un corpo che attraversa lo spazio e il tempo. E’ a 7.000 giri al minuto che l’incontri. E’ là che ti aspetta.”
Dal regista candidato agli Academy Award, James Mangold, già noto per “Quando l’amore brucia l’anima” e “Logan – The Wolverine”, arriva un film che racconta una delle storie più intense e commoventi del mondo delle corse automobilistiche. “Le Mans ’66 – La Grande Sfida” è un viaggio avvincente, carico di adrenalina, che va oltre la competizione, toccando il cuore dello spettatore con la sua narrazione dolceamara di una profonda amicizia che ha cambiato per sempre il mondo delle corse.
Ambientato nel 1959, il film racconta la vita di Carroll Shelby (Matt Damon), l’uomo che aveva vinto la leggendaria 24 Ore di Le Mans, ma che, a causa di una grave patologia cardiaca, si vede costretto a dire addio alla sua carriera da pilota. Questo è un colpo devastante per Shelby, ma la sua resilienza e determinazione lo spingono a reinventarsi come progettista e venditore di automobili. Si trasferisce in un piccolo magazzino di Venice Beach, dove inizia a lavorare a fianco di un team di ingegneri e meccanici, tra cui il rude e tenace Ken Miles (Christian Bale), un collaudatore britannico premiato ma con un carattere difficile.
Quando le vetture di Shelby ottengono un eccellente piazzamento a Le Mans, subito dietro le imponenti Ferrari di Enzo Ferrari, la Ford Motor Company, insoddisfatta delle sue prestazioni nel motorsport, decide di ingaggiare Shelby per progettare una macchina che possa battere il dominio della Ferrari nella famosa gara. La Ford, infatti, sta cercando di entrare nel mondo delle corse automobilistiche per rilanciarsi dopo aver fallito in vari tentativi precedenti, e Shelby sembra essere l’uomo giusto per la missione. Inizia così una vera e propria corsa contro il tempo, piena di conflitti interni, difficoltà tecniche, e lotte di potere all’interno dell’industria automobilistica, ma anche di passione, amicizia e sacrificio.
James Mangold, nel suo sforzo di portare sul grande schermo una storia così carica di emozioni, si è concentrato sull’aspetto umano del racconto, facendo emergere la determinazione, i sogni e le paure dei protagonisti. Il regista ha dichiarato di voler realizzare un film che non fosse solo una cronaca degli eventi, ma che riuscisse a coinvolgere emotivamente il pubblico, catapultandolo nel cuore della competizione, nei pericoli, nelle vittorie e nelle sconfitte. La bellezza delle macchine, dei motori, e l’epicità di ogni corsa sono mescolati all’intimità dei sentimenti che legano Shelby e Miles, due uomini che non cercano solo la vittoria, ma una forma di affermazione personale che va ben oltre il trionfo sportivo.
Un aspetto fondamentale del film è l’accuratezza storica. Mangold ha lavorato a stretto contatto con esperti, ingegneri e appassionati di motori per ricreare fedelmente l’atmosfera delle corse automobilistiche degli anni ’60, dai dettagli tecnici delle vetture alle dinamiche all’interno delle case automobilistiche. Ogni corsa, ogni macchina e ogni scena di lavoro in officina sono rappresentate con una meticolosità che fa sentire lo spettatore come se fosse parte integrante dell’epoca e del mondo delle corse, con la macchina da corsa Ford GT40 che diventa un personaggio a sé stante, portando con sé tutta la tensione, la speranza e l’adrenalina della sfida contro Ferrari.
La chimica tra i due protagonisti, interpretati magistralmente da Christian Bale (Ken Miles) e Matt Damon (Carroll Shelby), è palpabile e crea un legame unico che arricchisce il film. Bale, noto per la sua capacità di trasformarsi fisicamente e psicologicamente nei suoi ruoli, offre una performance straordinaria nei panni di Ken Miles, un uomo di temperamento focoso, ma anche capace di una dedizione senza pari alla sua passione per la velocità e per la perfezione tecnica. Damon, da parte sua, porta sullo schermo la figura di un Carroll Shelby determinato, ma anche capace di una dolcezza e di un’umanità che emergono nelle sue interazioni con Ken e gli altri membri del team.
Il film non è solo un tributo alla competizione automobilistica, ma anche un ritratto di un’epoca in cui la passione per le macchine e per il motorsport era più forte delle logiche di marketing e del business, un’epoca in cui il sogno e la determinazione di alcuni uomini potevano cambiare il destino di un’intera industria. La competizione tra Shelby e Ferrari, simbolo di una rivalità leggendaria nel mondo delle corse, viene raccontata con una narrazione che cattura tanto le gesta eroiche quanto le difficoltà morali, politiche e tecniche che i protagonisti devono affrontare.
Inoltre, la regia di Mangold è al servizio della storia, con una regia dinamica e vibrante che cattura perfettamente la tensione di ogni gara, ma anche l’intensità dei momenti più intimi, come le discussioni tra Shelby e Miles, e le difficoltà emotive dei protagonisti mentre affrontano sfide enormi. Il montaggio e la fotografia contribuiscono ulteriormente a creare una tensione palpabile, immergendo lo spettatore nei momenti di adrenalina pura delle gare e nei confronti ad alta velocità.
“Le Mans ’66 – La Grande Sfida” non è solo un film sulla competizione automobilistica, ma un ritratto di un’epoca in cui il sogno e la passione non erano ancora invasi dal marketing e dalla logica commerciale. È un racconto che celebra l’idea che la vera vittoria non è quella che arriva su una linea di partenza, ma quella che nasce dalla passione e dal sacrificio, dalla lotta e dalla determinazione.
Distribuito da 20th Century Fox, il film arriva nelle sale il 14 novembre, promettendo di conquistare non solo gli appassionati di motori, ma tutti coloro che amano storie di grande umanità, spirito di squadra, sacrificio e passione. Non c’è dubbio che “Le Mans ’66 – La Grande Sfida” sia una delle pellicole più avvincenti e commoventi dell’anno, un viaggio che non solo celebra la velocità, ma anche l’amicizia, l’ambizione e il coraggio.
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Emanuela Giuliani
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