Lezioni di piano, il capolavoro tra desiderio, silenzio e libertà diretto dalla regista neozelandese Jane Campion.
Uscito nel 1993, Lezioni di piano, diretto dalla regista neozelandese Jane Campion, si è subito imposto come uno dei vertici del cinema contemporaneo. Film lirico, visivamente magnetico e narrativamente audace, si distingue per la sua capacità di raccontare il desiderio, l’identità e la libertà femminile attraverso forme di espressione alternative, dove il silenzio e la musica diventano linguaggi potentissimi, e la Campion, in questo suo film più celebre, sovverte le convenzioni del melodramma romantico ottocentesco, plasmandolo secondo uno sguardo radicalmente nuovo, femminile e sensoriale.
Il corpo che parla e l’ambiguità dell’infanzia
Al centro della narrazione si staglia la figura di Ada McGrath, giovane donna scozzese muta sin dall’infanzia, interpretata con intensità straordinaria da Holly Hunter, il cui mutismo non è segno di debolezza, ma un atto di resistenza interiore, una forma di dissenso silenzioso contro una società patriarcale che le impone un destino non scelto. In Ada convivono l’impassibilità esterna e la turbolenza emotiva, la forza silenziosa e la vulnerabilità esposta.
Si tratta di un personaggio che comunica attraverso il corpo, lo sguardo, le mani che accarezzano i tasti del pianoforte come fossero pelle, e la performance della Hunter, che imparò davvero a suonare per il ruolo, è un tour de force recitativo che affida ogni emozione al linguaggio fisico. Il suo silenzio è più efficace di mille parole: un grido sordo di desiderio, dolore e autodeterminazione che attraversa lo schermo con forza inedita, e non sorprende che questa interpretazione le sia valsa l’Oscar e il plauso unanime della critica, che vi ha riconosciuto una delle prove attoriali più intense del cinema degli anni Novanta.
Accanto ad Ada si muove la giovane Flora, interpretata da una sorprendente Anna Paquin, scelta tra oltre cinquemila candidate, e a soli undici anni ha offerto una prova matura e spiazzante, che le frutterà il premio Oscar come miglior attrice non protagonista. Flora è personaggio duplice: innocente e manipolatrice, figlia e narratrice, spettatrice e agente del destino, è una figura che incarna la fragilità dell’infanzia e la capacità di interferire con il mondo degli adulti in modi imprevedibili. Il suo rapporto con la madre è intriso di affetto, gelosia e ambiguità: è tramite e barriera, ponte e ostacolo.
Una sinfonia visiva e sonora
Uno degli elementi più riconoscibili e celebrati del film è la colonna sonora firmata da Michael Nyman, e il brano The Heart Asks Pleasure First è divenuto iconico: una melodia fragile, intensa e minimalista che incarna perfettamente l’anima del film. Nyman non accompagna semplicemente le immagini, ma le plasma, le preannuncia, le supera, il pianoforte, cuore pulsante della narrazione, non è solo uno strumento: è il luogo dove risiedono l’identità e il desiderio di Ada. Le sue note diventano confessione, supplica, dichiarazione d’amore e atto di rivolta.
L’ambientazione selvaggia della Nuova Zelanda ottocentesca non è solo sfondo, ma parte integrante del linguaggio del film. Girato lungo le coste del Northland, Lezioni di Piano si sviluppa in paesaggi aspri, piovosi, sensuali, che riflettono l’animo inquieto dei personaggi, Jane Campion costruisce una vera sinfonia visiva, dove ogni elemento naturale – la spiaggia, il fango, il mare – assume un valore simbolico. L’oceano diventa luogo di abbandono e rinascita, di perdita e liberazione, l’isolamento geografico e culturale dei personaggi si intreccia con le dinamiche coloniali, sottolineando la dimensione di esilio e spaesamento che permea l’intera vicenda.
La fotografia di Stuart Dryburgh, fatta di toni freddi, luci filtrate e profondità materiche, contribuisce a costruire un’estetica pittorica che richiama il Romanticismo europeo, ma lo rilegge attraverso una sensibilità postcoloniale e femminista. Il paesaggio diventa personaggio, specchio e confine, teatro di passioni e costrizioni.
Desiderio e potere: un erotismo atipico
Centrale nella narrazione è anche il rapporto tra Ada e George Baines (Harvey Keitel), ex tagliatore di legname autodidatta e più aperto alle culture indigene. Il loro incontro è segnato da un erotismo inusuale, fatto di scambi ambigui, contratti impliciti e una lenta evoluzione che mette in discussione il concetto stesso di consenso e intimità. Il corpo di Ada, inizialmente oggetto di contrattazione (il “baratto” del pianoforte), diventa soggetto di desiderio e autodeterminazione, e la relazione tra i due, spesso scomoda e controversa, riflette la complessità del desiderio femminile: non lineare, non pacificato, ma denso di contraddizioni e scelte dolorose.
Dal successo inatteso all’eredità duratura
Lezioni di Piano fu una sorpresa su tutti i fronti: pensato inizialmente per un pubblico d’essai, grazie al passaparola e alla forza della sua visione seppe conquistare le platee internazionali, incassando oltre 140 milioni di dollari. Un trionfo per un’opera d’autore tanto silenziosa quanto potente, che parlava in una lingua non convenzionale e affrontava tematiche profonde e scomode.
Oltre agli Oscar per la miglior sceneggiatura (a Campion), miglior attrice protagonista (Hunter) e miglior attrice non protagonista (Paquin), il film ha generato un’eredità duratura. Oggetto di studi accademici, adattamenti teatrali, ispirazione per altre opere cinematografiche e musicali, il film ha ridefinito i contorni del cinema al femminile, aprendo la strada a una nuova generazione di registe e a storie capaci di coniugare intimità e universalità.
La Campion stessa ha riconosciuto quanto Lezioni di Piano abbia rappresentato un punto di svolta nel suo percorso artistico, affermandosi come una delle voci più originali e coerenti del cinema mondiale. Il film ha inoltre contribuito a consolidare il ruolo del cinema neozelandese sulla scena internazionale, aprendo la strada a produzioni che coniugano radici locali e ambizioni globali.
A distanza di oltre trent’anni, Lezioni di Piano continua a parlarci con una voce unica, fatta di silenzi eloquenti, di gesti lenti e struggenti, di note che sfiorano l’anima. È un film che interroga il senso della libertà, dell’identità e del desiderio in un mondo che spesso impone il silenzio. Un capolavoro sospeso tra romanticismo e ribellione, tra parola negata e musica ritrovata. Una lezione, appunto, di cinema e umanità: una sinfonia di immagini e suoni che rimane impressa nella memoria come un sussurro eterno.
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Emanuela Giuliani