L’uomo dal cuore di ferro, la recensione del film di Cèdric Jimenez

La recensione di L’uomo dal cuore di ferro, il film diretto da Cèdric Jimenez nelle sale italiane dal 24 gennaio

Il regista Cédric Jimenez approda nelle sale italiane il 24 gennaio con L’Uomo dal Cuore di Ferro, adattamento cinematografico del romanzo HHhH scritto da Laurent Binet, vincitore del Prix Gran Goncourt du Premier Roman nel 2010, un premio assegnato agli autori emergenti. Il titolo del libro, HHhH, è l’acronimo di Himmlers Hirn heiBt Heydrich (“Il cervello di Himmler si chiama Heydrich”) e trae ispirazione da una voce circolante in Germania secondo cui la vera mente dietro al Reichsführer delle SS Heinrich Himmler sarebbe stata, in realtà, quella di Reinhard Heydrich, capo dell’Ufficio Centrale per la Sicurezza del Reich. Il romanzo ripercorre l’ascesa di quest’ultimo, una delle figure più oscure e brutali del regime nazista e della Seconda Guerra Mondiale.

In L’Uomo dal Cuore di Ferro, Jimenez cerca di trasporre la figura di Heydrich sul grande schermo, ma, purtroppo, non riesce a restituire appieno la complessità di questo personaggio, noto anche come il “Macellaio di Praga” e soprannominato dallo stesso Hitler L’Uomo dal Cuore di Ferro. Nonostante la rapida crescita e trasformazione interiore di Heydrich, simbolo di una spietatezza crescente, la pellicola non riesce a rendere con la giusta intensità il suo odio radicato, che culmina nella progettazione della “Soluzione Finale” nel 1942, il piano sistematico di sterminio degli ebrei e degli oppositori politici. La violenza cruenta delle sue azioni e l’atmosfera di terrore che permea la storia non vengono trasmesse con la potenza necessaria, lasciando lo spettatore distaccato e poco coinvolto emotivamente.

Il film manca di una narrazione più profonda e di un adeguato sviluppo psicologico che avrebbe potuto restituire la tensione e la brutalità della figura di Heydrich. Jimenez, pur avendo a disposizione numerosi elementi potenti e significativi, non riesce a sfruttarli appieno, offrendo una visione superficiale e frettolosa degli eventi che hanno portato Heydrich a diventare un mostro. La sua espulsione dal Corpo della Marina, la progressiva adesione all’ideologia nazista, spinto anche dalla moglie Lina, e il suo arrivo al Protettorato di Boemia e Moravia, sono trattati in modo basilare, senza scavare a fondo nelle motivazioni che hanno plasmato la sua figura.

L’unica parte che riesce a suscitare una forte emozione è quella che riguarda la Resistenza cecoslovacca, in particolare l’operazione che portò all’assassinio di Heydrich. Questo momento culminante del film, in cui Jan Kubiš e Jozef Gabčík, due paracadutisti cecoslovacchi addestrati dagli inglesi, riescono a uccidere Heydrich il 17 maggio 1942, mentre viaggia in Mercedes attraverso le strade di Praga, riaccende la speranza di molti e destabilizza le certezze del regime nazista. Tuttavia, questa singola sequenza non basta a risollevare l’intero andamento emotivo della pellicola, che risulta complessivamente poco incisiva.

Il film avrebbe senza dubbio meritato una maggiore attenzione ai dettagli storici e una sensibilità maggiore nel trattare un argomento tanto delicato e sconvolgente. L’Uomo dal Cuore di Ferro non riesce a fare breccia nello spettatore, non riuscendo a suscitare quella rabbia e quella tristezza viscerale che un tema così forte avrebbe dovuto evocare. Il risultato finale è un’opera che, pur con buone intenzioni, non riesce a colpire nel profondo e lascia una sensazione di incompiutezza.

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Emanuela Giuliani

Il Voto della Redazione:

5


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