“MACCHINE MORTALI” – Recensione: lo steampunk di Peter Jackson

“MACCHINE MORTALI” – Recensione: lo steampunk di Peter Jackson

Nelle sale cinematografiche dal 13 dicembre, distribuito dalla Universal Pictures, l’adattamento cinematografico dell’omonimo romanzo di Philip Reeve, del 2001, primo della quadrilogia comprendente: “Freya delle Ande di Ghiaccio”, del 2003, “Infernal Devices”, del 2005, e “A Darking Plain” del 2006, diretto da Christian Rivers, al suo debutto alla regia, scritto e prodotto da Peter Jackson:MACCHINE MORTALI”, dall’innegabile accattivante scenario distopico post apocalittico in stile steampunk, in cui strumenti dall’avanzata tecnologia vengono azionati dalla forza motrice a vapore, l’energia l’elettrica è capace di ogni progresso ed i computer sono complementi meccanici.

Ambientato diversi anni dopo la Guerra dei Sessanta Minuti, che ha ridotto la Terra ad una landa desolata, vede il genere umano, per sopravvivere, muoversi a bordo di enormi metropoli munite di ruote, alla ricerca di piccole città da depredare e prosciugare delle proprie risorse.

Sarà proprio da una di queste infernali macchine, più precisamente da quella su cui viaggia la città di Londra, che l’orfano londinese Tom Natsworthy, Robert Sheehan, verrà scaraventato fuori, ritrovandosi così a fronteggiare le ostilità del mondo esterno, alla disperata ricerca di un luogo sicuro dove vivere, con affianco la giovane ribelle Hester Shaw, Hera Hilmar, rigettata come lui,  e con la quale stringerà un particolare legame destinato a cambiare le loro vite e del devastato mondo circonstante, grazie anche al susseguirsi e l’evolversi degli inaspettati eventi.

Un racconto, tuttavia, la cui entusiasmante curiosità iniziale delle prime scene, suscitata dall’innegabile, notevole, impatto visivo, delle accurate scenografie di Dan Hennah, della fotografia di Simon Raby, che ne valorizza e sottolinea la particolare e futuristica atmosfera, le musiche dall’incalzante ritmo di Junkie XL, il trucco ed i costumi rispettivamente opera di Bob Buck, Kate Hawley e Nancy Vincent, nonché degli impeccabili effetti speciali, in grado di conquistare, e focalizzare l’attenzione, intrigando lo spettatore, scema fino a perdersi completamente a causa dell’inadeguatezza, e forse superficialità, della costruzione, e del relativo sviluppo narrativo, non riuscendo a sfruttare le potenzialità degli  elementi compresi e racchiusi nei vari episodi, personaggi e delle varie figure che ruotavano attorno ai protagonisti, che contribuivano a completare ed illustrare, facendo chiarezza, l’intera surreale storia, dai molteplici risvolti, limitandone, di conseguenza il coinvolgimento emotivo.

Una visione in conclusione, quella dell’atteso “MACCHINE MORTALI”, dal deludente agro sapore, non in grado di sfruttare le numerose potenzialità in essa racchiuse, dalle caratteristiche assolutamente accattivanti, risultando priva della dovuta, originale, ben definita, fondamentale identità, in grado di farlo emergere in modo incisivamente ed individuale.

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