“Madres Paralelas”: un cammino del dolore che attraversa le cicatrici della Storia – Recensione

“Madres Paralelas”: un cammino del dolore che attraversa le cicatrici della Storia – Recensione

“Non c’è Storia muta. … La Storia umana si rifiuta di stare zitta” – Eduardo Galeano

Almodovar ritrova l’energia e la passione di un tempo e filma il suo ultimo lungometraggio “Madres Paralelas” tra madri imperfette e l’importanza della memoria storica.

Una pellicola politica, che non racconta solo l’incontro tra due donne, due madri, ma si insinua nella storia di un paese, quella memoria storica ancora in sospeso nella società spagnola, che ha un debito morale immenso nei confronti delle famiglie dei desaparecidos, persone sotterrate e dimenticate nelle fosse comuni.

Quella memoria che lascia una traccia enorme nel cuore e nello scorrere di intere generazioni, generazioni che nascono, che muoiono e che chiedono solo di poter essere salutate, ricordate, non abbandonate.

Il fil rouge del lungometraggio è quel concetto di “eredità”, che ritroviamo in un incontro, quello tra la giovane e inesperta Ana, una straordinaria Milena Smith, e Janis, Penelope Cruz, una fotografa affermata, destinato a segnare per sempre le loro esistenze.

Due concetti di maternità, due donne che si sfiorano ad un passo dalla sala travaglio, Ana confusa, troppo giovane per diventare madre, e Janis felicissima di poter stringere tra le braccia la sua bimba. Un incontro occasionale, come quello tra Janis e Arturo (Israel Elealde) un antropologo forense, che si ritroverà a occuparsi del rinvenimento della fossa comune dove è sepolto il bisnonno di Janis, ucciso durante la guerra civile spagnola.

Quella guerra civile del 1936, teatro di processi farsa e di esecuzioni sommarie di persone strappate dall’affetto dei propri cari e barbaramente uccise, poi sepolte in improvvisate fosse comuni, spesso scavate dalle vittime stesse, un popolo senza voce in attesa da anni di una degna sepoltura.

Oggi, a 45 anni dalla morte di Franco e circa 80 dalle atrocità commesse, si cerca almeno, nell’impossibilità di condannare i criminali di allora, di restituire alle famiglie quel che resta dei loro compianti.

Un film simbolo dell’eredità biologica ed affettiva, un viaggio intenso, avvolgente e drammatico, in modo silenzioso però, meno accentuato, più intimo, in cui ritroviamo l’intensità che aveva segnato le figure femminili in “Tutto su mia madre” e “Il fiore del mio segreto”.

Un racconto che si stringe attorno alle protagoniste, le avvicina, sempre di più, le avvolge con le ombre della morte e del mistero, ma non si limita alla dimensione privata. Almodovar ci insegna che la nostra storia può essere ed è sempre indissolubilmente legata alla storia di altre persone, che essi siano familiari o persone che abbiamo appena conosciuto.

Una pellicola che trascina i personaggi in intensi primi piani e decisivi faccia a faccia, coronati da una colonna sonora vibrante e da intensi cromatismi rossi, come il maglione di Janis ed i suoi accessori, che evocano il sangue, lo stesso sangue che scorreva a fiumi negli anni di Franco e che ora determina l’essere madre biologica, così come le tracce di lutti familiari.

Ritroviamo le attrici feticcio di Almodovar, la brillante Rossy De Palma e la toccante Julieta Serrano, insieme all’affascinante Aitana Sanchez-Gijon, che interpreta la madre di Ana, una maternità diversa, che ha privilegiato la carriera alla famiglia, ma che non smette di mettersi in gioco e continuare a cercare quel legame con sua figlia, ad ogni costo.

Almodovar, anche se con una trama esile e troppo scontata in alcune storyline, riesce comunque a commuovere, pennellando a tinte forti l’avvento della maternità: di due donne e di un paese che ha dimenticato i propri figli per troppo tempo.

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Chiaretta Migliani Cavina


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