Masters of the Air, recensione: una grande avventura della Generazione Gloriosa

Masters of the Air una serie bellica prodotta da Steven Spielberg e Tom Hanks, che ci guida dentro i bombardieri americani ad alta quota.

Masters of the Air sa dove e come colpire: lo fa da molto in alto, da 8mila metri, quanto di solito viaggiavano le Fortezze Volanti, quei colossi che piegarono le industrie, fortezze e le città del Terzo Reich. Steven Spielberg alla produzione, così come fu con The Pacific e Band of Brothers, in un cast di prima grandezza, in una serie gigantesca per grandiosità, mezzi e capacità di farci comprendere cosa era veramente il mestiere del pilota, tra paura e rischio quotidiano.

Masters of the Air, l’omaggio ai racconti bellici hollywoodiani

scena serie masters of the air

Masters of the Air ha come protagonisti i membri del 100° Gruppo Bombardieri, che partendo dalle coste inglesi, per anni si avventurarono sopra il suolo tedesco, sfidando contraerea, caccia nemici, maltempo, freddo e guasti per sganciare tonnellate di bombe su fabbriche, basi militari, infrastrutture e spesso anche le città del Terzo Reich. Protagonisti principali sono il Maggiore Gale Cleven (Austin Butler), il suo parigrado ed amico John Egan (Callum Tuner), l’osservatore Harry Crosby (Anthony Boyle), il Sottotenente Curtis Biddick (Barry Keoghan) e il Maggiore Robert Rosenthal (Nate Mann).

Fin da subito è evidente quanto la mano di Spielberg sia presente, con omaggi continui al grande racconto bellico della Hollywood che fu, quella che aveva nei piloti degli eroi individualisti. Era una dimensione che li rese perfetti anche per il melodramma, come testimoniato dalle molte pellicole di entrambi i dopoguerra. Masters of the Air ci gioca con questo, perché parte come racconto a tratti glamour, film di formazione, con piloti che sono giovani, eleganti, stilosi e bellocci. Poi però ecco che arriva il momento di volare e tutto questo scompare tra raffiche di mitragliatrici, sbuffi della flak crucca e le fiamme che avvolgono velivoli partiti con il loro carico di morte. Un carico che la serie non si esime da mostrarci come foriero di una sofferenza sui civili indiscriminata, ed è la prima volta per un prodotto statunitense mainstream.

Rimane difficile fare un paragone con altre serie anche recenti come The Liberator o con la filmografia bellica come Niente di nuovo sul Fronte Occidentale, questo perché alla serie interessa mostrare un piccolo microcosmo, più che darci un’idea del conflitto in generale. Di certo funziona tutto alla perfezione per quello che riguarda le sequenze di volo, le migliori mai viste forse di sempre. Rimane un po’ difficile invece affezionarsi ai diversi personaggi, visto che a parte Butler e Tuner, gli altri appaiono sempre un po’ troppo simili e defilati, un po’ troppo anche tutti identici. C’è anche qualche presenza femminile, ma oggettivamente non così centrale come in altre produzioni.

Masters of the Air, un grande evento per il pubblico

scena serie masters of the air

Masters of the Air migliora però nella parte centrale, in realtà non smette mai di farlo dopo alcune lungaggini. La psicologia dell’uomo in armi varia a seconda del suo compito, qui è lo stress nervoso, la paura, la propria immaginazione e l’attesa il vero nemico, in ragazzi che sovente si chiudono verso il mondo esterno per risparmiarsi la sofferenza di vedere scomparire tra lontane fiamme o nelle profondità marine i propri compagni. La diversificazione narrativa funziona soprattutto nella seconda parte, tra omaggi alle vittime dell’Olocausto, alla resistenza francese, ai russi persino e naturalmente ai prigionieri di guerra.

Finale antimilitarista ma non antipatriottico, di base il carico che ameranno più sganciare sarà di viveri alle popolazioni affamate dell’Europa liberata. Rimane la sua essenza di produzione molo amerikkana, molto a stelle e strisce, agganciata a ciò che John Wayne, Robert Mitchum, Steve McQueene e co. furono per il grande pubblico: ambasciatori cinematografici della Generazione Gloriosa. Bene Butler e più ancora Turner, ma forse i migliori sono Mann e Boyle, con due personaggi meno di maniera, più realistici, più umani. Difficile capire se e quanto una narrazione sul grande schermo sarebbe stata di maggior o minor impatto.

Difficile comprimere tante vite e tanti avvenimenti in 2-3 ore, ma certo tanta spettacolarità appare sprecata sul piccolo schermo. Si preannunciano vagonate di premi, tuttavia manca quello spirito umanista, quella capacità di essere più legati alla realtà quotidiana e orribile della guerra che narratori come Eastwood, Stone hanno saputo rendere mezzo di grande potenza. Ad ogni modo, un grande evento per il pubblico, un grande viaggio dentro un mondo di cui in realtà, ad eccezione di Comma 22, non si è mai parlato con la dovuta e sincera onestà. Masters of the Air non è al livello di ciò che furono le altre due serie di Spielberg e Tom Hanks, forse anche per la mancanza di una novità tout court, ma è e rimane un prodotto tanto hollywoodiano di facciata, quanto in realtà differenziato per essenza a mano a mano che si procede.

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Emanuela Giuliani

Il Voto della Redazione:

9


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