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Material Love, la recensione: l’amore ai tempi dell’apparenza

Material Love, Celine Song dopo Past Lives racconta la difficile scelta dell’amore tra perfezione e imperfezione.

Dopo aver incantato pubblico e critica con Past Lives — opera prima che l’ha consacrata come una delle voci più raffinate del cinema contemporaneo e che le è valsa, tra l’altro, l’Oscar per la migliore sceneggiatura originaleCeline Song torna dietro la macchina da presa per dirigere Material Love, una commedia romantica che segna un netto cambio di passo nel suo percorso artistico.

Con Past Lives, la regista nata in Corea del Sud e cresciuta in Canada aveva firmato un film intimo e autobiografico, capace di esplorare con delicatezza nostalgia, identità e i legami invisibili del tempo. Con Material Love — in uscita nelle sale italiane dal 4 settembre grazie a Eagle Pictures — si sposta invece sui toni della rom-com, interrogandosi su cosa significhi davvero “scegliere” in amore.

Il film si configura come una sorta di indagine sentimentale, con al centro Lucy (Dakota Johnson), giovane e brillante organizzatrice di incontri a New York. Lucy aiuta gli altri a trovare l’anima gemella, ma si ritrova improvvisamente intrappolata in un dilemma tutto suo: da un lato Harry (Pedro Pascal), l’uomo affascinante e assolutamente perfetto, definito per questo “un Unicorno”; dall’altro John (Chris Evans), un ex complicato, imprevedibile, ma sorprendentemente autentico.

Tra ciò che si vuole e ciò che si deve volere

Senza tradire la propria intima sensibilità verso le sfumature emotive — fatta di sguardi silenziosi, dialoghi misurati e di una particolare attenzione agli aspetti interiori — Celine Song prosegue, con Material Love, il suo percorso di analisi dei sentimenti, delle relazioni e delle insicurezze che accompagnano l’amore.

Attraverso un tono apparentemente leggero e disincantato e un’intensità dosata in modo sapiente e differente rispetto a quella del suo esordio cinematografico, la regista alterna momenti più sobri ad altri decisamente più riflessivi, raccontando il conflitto dell’amore: tra ciò che si desidera e ciò che si crede di dover desiderare. Tra l’amore perfetto sulla carta — in cui il partner ideale risponde ai criteri di successo, bellezza e sicurezza economica — e quello spontaneo, che sfugge a logiche razionali e nasce anche in assenza di certezze, senza chiedere, volere o pretendere, ma facendo sentire l’altro davvero importante.

Un dualismo che nasce dal desiderio di essere amati, dalla paura di sbagliare, restare soli e doversi accontentare per evitare la solitudine, che s’intreccia con dinamiche estremamente attuali. In un’epoca in cui l’iperconnessione e i social media amplificano costantemente modelli ideali di coppia, bellezza e cosa dovrebbe essere l’amore, la visione si fa infatti sempre più distorta da aspettative irrealistiche, e trovare un partner che sappia ascoltare, rispettare e accogliere davvero l’altro nella sua interezza — con tutte le sue fragilità e imperfezioni — diventa così un’impresa sempre più rara.

A rendere ancora più complesso questo disagio sono gli standard sociali e culturali, che impongono la “necessità”, anzi l’“obbligo”, di costruire una relazione stabile e una vita sentimentale entro una certa età, seguendo schemi prestabiliti di successo. Una crescente pressione, che riguarda non solo l’amore in sé, ma anche l’immagine che si ritiene di dover offrire per essere amati: quella giusta, desiderabile e all’altezza. Uno spazio sospeso, tra aspirazioni personali e imposizioni esterne, in cui Material Love fa muovere i suoi personaggi, interpretati da Dakota Johnson, Chris Evans e Pedro Pascal.

In particolare, la Johnson veste i panni di una protagonista divisa tra ciò che crede di volere e ciò che sente nel profondo, la cui contenuta delicatezza trasmette uno stato d’animo che non può esprimere completamente. Chris Evans, invece, si allontana dal modello abituale, interpretando un uomo affascinante ma non idealizzato, con dubbi e vulnerabilità; e Pedro Pascal, infine, dona credibilità a una figura maschile che avrebbe potuto facilmente scivolare nello stereotipo, grazie al suo carisma e calore umano.

Material Love è senza dubbio un film raffinato ed elegante, un ritratto sincero dell’amore contemporaneo in cui molti possono riconoscersi. Se da un lato l’ambientazione in una New York meno appariscente e più vissuta, insieme alla prevedibilità di alcuni dialoghi — pur ben scritti — fa pensare a una storia sospesa tra romanticismo e riflessione esistenziale, dall’altro è chiaro come il film sia ricco di sfumature tutt’altro che banali.

La narrazione, attenta e misurata, nonostante in alcuni passaggi sembri mancare della profondità necessaria per restituire appieno le tensioni, le paure, le scelte difficili e il desiderio di essere amati dei personaggi, racchiude un’emotività che esplode lentamente, quasi in silenzio. Un sentimento che affiora sotto la superficie lasciando un sottile senso di disorientamento, ma anche una traccia duratura, e che rende Material Love è una riflessione raffinata e sommessa sull’amore moderno, che tocca corde profonde senza mai alzare la voce, preferendo il sussurro alla dichiarazione, la sfumatura al contrasto.

Proprio per questo, è un film che non parlerà a tutti allo stesso modo. Chi si aspetta una rom-com convenzionale, troverà forse una narrazione troppo introspettiva e rarefatta, mentre chi è disposto a interrogarsi più che a ricevere risposte, potrà riconoscersi nel conflitto che attraversa Lucy e, con lei, una generazione intera.

Material Love non è una storia che conquista immediatamente, è un film che si fa strada piano, con delicatezza, lasciando il dubbio che forse l’amore vero non sia quello perfetto, ma quello che sa resistere all’imperfezione.

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Emanuela Giuliani

Il Voto della Redazione:

7


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