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Memorie di una Geisha, la recensione: il fascino di un mondo perduto

Memorie di una Geisha, la recensione del film diretto da Rob Marshall nel 2005 sul fascino di un mondo perduto.

“Una storia come la mia non andrebbe mai raccontata, perché il mio mondo è tanto proibito quanto fragile. Senza i suoi misteri non può sopravvivere. Di certo, non ero nata per una vita da geisha. Come molte cose, nella mia strana vita, ci fu trasportata dalla corrente.”Zhang Ziyi – Sayuri

Nel 2005, il regista Rob Marshall portò sul grande schermo Memorie di una Geisha, una trasposizione cinematografica dell’omonimo romanzo bestseller di Arthur Golden, pubblicato nel 1997. Il film, prodotto dalla Amblin Entertainment di Steven Spielberg, rappresenta un’opera che è riuscita a fondere una narrazione intensa con una bellezza visiva mozzafiato, trasportando il pubblico nel Giappone degli anni ‘30 e ’40, in una cultura ricca di tradizioni ma ormai lontana nel tempo e sempre più difficile da immaginare. Con un cast di attori internazionali, che include Zhang Ziyi, Michelle Yeoh e Gong Li, Memorie di una Geisha brilla per l’accuratezza delle sue ambientazioni e la complessità della sua trama.

Un viaggio nell’anima di Sayuri

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La storia di Memorie di una Geisha è incentrata sulla figura di Chiyo, una giovane bambina che, dopo essere stata venduta dalla sua famiglia impoverita, viene accolta in un’okiya, una casa di geisha, dove inizia un lungo e doloroso percorso di formazione. Da semplice ragazza anonima, Chiyo, grazie alla sua straordinaria bellezza e intelligenza, si trasformerà nel leggendario personaggio di Sayuri, una delle geishe più ricercate e desiderate del Giappone.

Memorie di una Geisha esplora con grande maestria le contraddizioni di una vita che oscillano tra arte e sofferenza, con Sayuri costretta ad adattarsi a un mondo in cui l’amore è un lusso impossibile da raggiungere e la considera un’opera d’arte vivente. Una società che non tiene conto dei suoi desideri più intimi e la spinge costantemente a un’incessante lotta interiore alla ricerca di sé stessa, tra il sacrificio per la sua arte e la speranza di essere amata.

Contesto attraverso cui il film affronta e rende accessibili al pubblico occidentale temi universali quali l’identità, la solitudine, la speranza e il desiderio con il percorso di Sayuri a rappresentare simbolicamente quello di tutte le donne costrette a negoziare la propria individualità in ambiti rigidi e tradizionali, nonché il tenace tentativo di sfuggire a un destino che le limita.

Un film premiato e visivamente straordinario

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Il film ha vinto numerosi riconoscimenti per la sua eccellenza tecnica, tra cui i premi Oscar per la miglior fotografia, grazie al lavoro del direttore della fotografia Dion Beebe; per la migliore scenografia, di John Myhre e Gretchen Rau; e per i migliori costumi, realizzati dalla talentuosa Colleen Atwood. Onori che celebrano non solo la bellezza visiva del lungometraggio, ma anche l’accuratezza e la profondità con cui ogni elemento è stato meticolosamente costruito per dare vita a un mondo affascinante e suggestivo, in cui ogni scena diventa un’opera d’arte a sé stante.

La fotografia di Beebe riesce a trasmettere con eleganza l’evoluzione psicologica della protagonista Sayuri, utilizzando luci soffuse e tonalità calde che ne rispecchiano gli stati d’animo. Ogni scena è come un delicato dipinto, dove i colori e le ombre raccontano storie silenziose e complesse. Il blu, un colore rarissimo nei kimono storici, viene usato simbolicamente per enfatizzare l’unicità della protagonista e la sua solitudine in un mondo che non la capisce appieno, mentre la scenografia, ispirata ai paesaggi di Utagawa Hiroshige, ritrae un Giappone dall’estetica struggente e lontana.

I costumi di Colleen Atwood, che integrano elementi stilistici delle epoche Taisho e Shōwa, riproducono fedelmente le tendenze dell’epoca, pur rielaborandole per adattarle al grande schermo. Ogni kimono, ogni accessorio, diventa un simbolo tangibile della cultura giapponese, ma anche una rappresentazione della trasformazione di Sayuri da giovane innocente a donna segnata dal suo destino. Le scelte stilistiche sono un perfetto equilibrio tra tradizione e modernità, con il fine di raffigurare la geisha non solo come un’icona culturale, ma come una donna tridimensionale, una persona che incarna l’evoluzione della società giapponese dell’epoca.

Un’opera di grande poesia visiva e narrativa

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Rob Marshall, con il suo approccio registico teatrale, ha saputo trasformare Memorie di una Geisha in un’esperienza visiva e sensoriale senza pari, le sue scelte registiche, raffinate e impeccabili, coinvolgono lo spettatore in un viaggio che non è solo esteticamente affascinante, ma anche profondamente emotivo. La bellezza del Giappone degli anni ’30 e ’40 si riflette perfettamente nella vita della protagonista intrappolata tra la sua arte e le sue emozioni, in un continuo tentativo di definire se stessa in un mondo che la vuole solo come un oggetto.

Il film non è un’analisi del sacrificio, della bellezza e un viaggio emozionante che racconta la fragilità di un mondo che non esiste più. La storia di Sayuri non è soltanto quella di una geisha, ma anche quella di una donna che cerca il suo posto in una società che le impone una funzione sociale ben precisa. Ogni gesto quotidiano, dalla danza alla cerimonia del tè, dalla calligrafia alla preparazione del kimono, è carico di significato e contribuisce a raccontare una tradizione che si fonde con il dolore e la speranza.

Marshall non si limita a narrare una storia personale, ma esprime attraverso la vicenda della protagonista una riflessione più ampia sulla condizione della donna in una società che ne ammira la bellezza ma non la comprende appieno. L’opera è un inno alla resilienza femminile, all’arte come rifugio e mezzo di espressione, una critica alla visione stereotipata e limitata che la società impone a chi è diverso o destinato a ricoprire un ruolo ben definito.

Un film che affascina e divide in un viaggio nel tempo e nella cultura

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Come ogni grande opera, Memorie di una Geisha ha ovviamente suscitato reazioni contrastanti, e se da un lato incanta per la sua straordinaria resa visiva, l’accuratezza dei costumi e la potenza della colonna sonora, dall’altro ha sollevato polemiche riguardo alla veridicità culturale e alla rappresentazione della figura femminile.

Alcuni critici hanno messo in dubbio l’autenticità del film, sottolineando come la cultura giapponese venga filtrata attraverso la lente narrativa occidentale. Approccio che ha portato in particolare a discutere sulla scelta delle attrici principali tutte di origini cinesi, e che di conseguenza non rispettavano la cultura giapponese. La rappresentazione delle geishe, inoltre, è stata considerata da alcuni troppo romanticizzata, come figure quasi mitiche, distorcendo il vero ruolo di queste donne che sono artiste di un’arte secolare, e non cortigiane o oggetti di desiderio.

Polemiche tuttavia che, sebbene comprensibili, di certo non oscurano la maestria con cui il film è stato realizzato. La sua bellezza visiva e la profondità emozionale, che meritano di essere apprezzate indipendentemente dalla sua fedeltà storica e culturale, fanno di Memorie di una Geisha una delle sfide più ambiziose del cinema occidentale nel raccontare una cultura misteriosa e seducente, con una narrazione che, pur non riuscendo sempre a renderle giustizia, evoca ed omaggia un’epoca e una cultura che non torneranno mai più.

La capacità del film di mescolare poesia, arte e dolore esplorando la complessità dell’animo umano in un ambiente culturale tanto distante, lo rende un’esperienza cinematografica che merita di essere vissuta e in grado di lasciare una traccia profonda che invita lo spettatore a riflettere sulla fragilità dei sogni e sulla bellezza del sacrificio in nome dell’arte.

Memorie di una Geisha è una testimonianza di un mondo perduto ormai difficile da comprendere e riscoprire nella sua totalità, ma che attraverso il cinema può essere ancora ammirato e compreso, seppur con le sfumature e le limitazioni che ogni racconto porta con sé.

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Emanuela Giuliani

Il Voto della Redazione:

9


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