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MODI – Tre giorni sulle ali della follia, la recensione: il Modì di Depp non trova la sua forma

Presentato alla Festa del Cinema di Roma 2024 MODI – Tre giorni sulle ali della follia è il ritorno infelice di Depp alla regia.

Travolto da scandali, accuse e una lunga serie di battaglie legali, Johnny Depp sembrava ormai lontano dalle luci del mondo cinematografico. Eppure, a 25 anni dal suo esordio dietro la macchina da presa con Il Coraggioso, torna finalmente alla regia con Modì – Tre giorni sulle ali della follia, presentato alla 19ª Festa del Cinema di Roma, dove ha ricevuto anche un premio alla carriera. Il film, distribuito nelle sale italiane dal 21 novembre da Be Water Film in collaborazione con Maestro Distribution e Medusa Film, si propone di raccontare in modo intenso e frammentato la vita tormentata del celebre artista Amedeo Modigliani.

Al centro della narrazione ci sono le settantadue ore frenetiche vissute dal pittore e scultore livornese — “Modì” per gli amici — nella Parigi del 1916, dilaniata dalla guerra e segnata da un’atmosfera di caos e decadenza. In questi tre giorni, Modi è immerso in un vortice di eventi tumultuosi: il suo desiderio di fuggire dalla città e abbandonare la carriera è ostacolato dai complicati rapporti con i colleghi Maurice Utrillo (Bruno Gouery) e Chaim Soutine (Ryan McParland), e dalla sua musa Beatrice Hastings (Antonia Desplat).

Tra momenti di lucidità e allucinazioni, Modì cerca disperatamente risposte dal suo amico e mercante d’arte Leopold Zborowski (Stephen Graham), mentre si confronta con il potente collezionista americano Maurice Gangnat (Al Pacino), la cui influenza potrebbe cambiare per sempre il corso della sua vita. Un ritratto intenso, che prova a immergere lo spettatore nella mente confusa e ribelle di un artista destinato a entrare nella leggenda.

Modi – Tre giorni sulle ali della follia, un ritorno e racconto tutto da rifare

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Modì – Tre giorni sulle ali della follia segna il ritorno di Johnny Depp dietro la macchina da presa con un progetto ambizioso e carico di aspettative, che purtroppo fatica a emergere dal caos interiore che pervade la figura stessa di Amedeo Modigliani. Il pittore e scultore livornese, spirito tormentato e precocemente spento a soli 35 anni nella Parigi del primo Novecento, viene raccontato attraverso un turbine emotivo e narrativo che si riflette nella sceneggiatura, firmata da Jezy e Mary Kromolowsky e liberamente ispirata all’omonima opera teatrale di McIntyre. Nonostante la potenza del soggetto e la forza del personaggio, il film si perde in un frastuono eccessivo, incapace di focalizzarsi con lucidità sul nucleo centrale: la fragile lotta dell’artista contro il giudizio spietato e la marginalizzazione da parte di un mondo dell’arte spesso crudele e incomprensivo.

Il film è un mosaico di riferimenti cinematografici, che spaziano dal rimando al cinema hollywoodiano classico fino agli iconici personaggi interpretati da Depp nel corso della sua carriera. Il pirata Jack Sparrow, simbolo di libertà e caos controllato, si materializza già nella scena d’apertura come un’ombra che sembra permeare la narrazione, mentre omaggi al cinema muto — con sequenze in bianco e nero che evocano la poetica di Chaplin e Buster Keaton — si alternano come un tributo nostalgico e ambizioso. Questi espedienti, se da un lato denotano un sincero omaggio ai maestri del cinema e alla carriera artistica di Depp, dall’altro finiscono per appesantire la narrazione, frammentandola e diluendo il senso di coesione e di profondità.

Un altro punto dolente riguarda la rappresentazione stessa dell’arte di Modigliani, vero cuore pulsante della vicenda. Le sue opere, nonostante la loro centralità tematica, vengono trattate con superficialità e scarsissima incisività, quasi come elementi decorativi più che veri e propri motori narrativi. Il processo creativo, fatto di passione, dolore e distruzione, viene solo accennato senza la profondità necessaria per far emergere la complessità di un artista che ha vissuto ai margini e in perenne conflitto con sé stesso e con la società.

La colonna sonora, composta da Sascha Puttnam e Steve McLaughlin in omaggio al chitarrista Jeff Beck, alterna brani originali e non, ma piuttosto che sostenere la tensione emotiva, contribuisce ad accentuare il ritmo sconnesso e discontinuo della pellicola, amplificando la sensazione di un racconto non completamente riuscito. Sul piano linguistico, l’innaturale alternanza tra inglese, italiano e francese aggiunge ulteriore dissonanza, creando un effetto disorientante. In particolare, si nota con rammarico la scelta di non far emergere l’accento toscano di Riccardo Scamarcio, che avrebbe potuto donare maggiore veridicità e spessore al suo personaggio, arricchendo la dimensione culturale e psicologica del ritratto.

In conclusione, Modì – Tre giorni sulle ali della follia rappresenta un tentativo sincero e appassionato di Johnny Depp di immergersi nella vita e nell’anima di uno degli artisti più enigmatici e tormentati del Novecento. Tuttavia, il risultato finale appare un ritratto sbilanciato e frammentato, privo della necessaria coesione narrativa e della profondità emotiva che avrebbero potuto trasformare questa opera in un tributo autentico e memorabile. Rimane così la sensazione di aver assistito a un lavoro incompiuto, che non riesce a catturare appieno la grandezza né la tragedia di Amedeo Modigliani.

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Emanuela Giuliani

Il Voto della Redazione:

4


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