dev patel in monkey man

Monkey Man, la recensione del viscerale debutto alla regia di Dev Patel

La recensione di Monkey Man, il film debutto alla regia di Dev Patel nei cinema dal 4 aprile distribuito da Universal Pictures.

Il candidato all’Oscar® Dev Patel (Lion – La strada verso casa, The Millionaire), debutta alla regia portando sul grande schermo un sorprendente e ambizioso action movie viscerale e adrenalinico. Nei cinema dal 4 aprile distribuito da Universal Pictures: Monkey Manè un esordio dietro la macchina da presa energico, trascinante e a più strati. Dietro un uomo in cerca di vendetta contro i leader corrotti che hanno ucciso sua madre, emerge infatti il ritratto brutale, specchio di una realtà estremamente drammatica, della disparità socio-politica-culturale dell’India, nonché dell’uso della religione e del sesso, per vittimizzare perpetuando sistematicamente senza alcuno scrupolo con ogni sorta di sopruso e violenza i poveri e i deboli.

Monkey Man, il percorso verso le sale della vendetta di un uomo

dev patel in Money Man

Scritto dallo stesso Patel assieme Paul Angunawela e John Collee (Master & Commander: Sfida ai confini del mare),  Monkey Man prima di approdare nelle sale ha affrontato un percorso tutt’altro che facile. Girato su una piccola isola dell’Indonesia e non in India come inizialmente previsto a causa della pandemia, con pochi mezzi a disposizione e dove non sono mancati gli incidenti sia alle attrezzature che allo stesso Patel, oltre che regista volto anche del protagonista, una volta terminato nel 2021, Netflix non ha voluto distribuirlo, ritendo i suoi contenuti troppo forti per l’India. Relegato nel limbo dell’incertezza, fortunatamente Jordan Peele conquistato dalla visione, ha coinvolto la Universal, e grazie all’accordo che ha con lo studio, è riuscito a far arrivare nei cinema questa storia tanto entusiasmante quanto dura.

In Monkey Man, Patel veste i panni di Kid, un giovane anonimo che si guadagna da vivere in un fight club clandestino dove, notte dopo notte indossando una maschera da scimmia, ispirata alla leggenda della divinità induista del Dio Scimmia Hanuman, adorata come simbolo di forza fisica, perseveranza, devozione e coraggio, si lascia picchiare a sangue dai lottatori più acclamati dalla folla di quel micro-mondo illegale in cambio di denaro.

Ma il vero obiettivo di Kid è la vendetta. Una furiosa rivalsa nei confronti di quei potenti corrotti che, per una speculazione edilizia e forti del supporto del santone più influente del paese, uccisero barbaramente sua madre devastando la comunità in cui viveva. E dopo anni di rabbia repressa, Kid trova il modo d’infiltrarsi nell’enclave dell’élite della città, facendo ribollire il suo trauma infantile fino ad implodere, con le sue mani sfregiate dal dramma che scateneranno un’esplosiva ondata di ritorsione per regolare i conti con gli uomini che gli hanno tolto tutto, non prima però di aver affrontato se stesso e ritrovato la purezza del suo spirito.

Monkey Man, la rabbia personale di un uomo tra religione e politica

scena monkey man

Con Monkey Man, Dev Patel, come svelato da lui stesso in precedenza, riscopre le proprie radici da cui fuggiva fin da quando era ragazzino, costruendo una storia apparentemente basilare e semplice che intreccia diversi aspetti della mitologia indiana con i conflitti socio-politici-culturali da sempre presenti in India. Una rappresentazione dal frenetico dinamismo che pur sfociando, a volte, nell’azione caotica, non penalizza una visione assolutamente coinvolgente e trascinante che non permette di distogliere gli occhi dallo schermo.

Una visione in cui è chiara la capacità manipolativa della religione così come la sua tolleranza. Due aspetti della stessa medaglia di un’agghiacciante realtà con l’abominevole differenza di classe rappresentata in Monkey Man senza mezzi termini, con i ricchi che vivono nel lusso più dissoluto e il popolo oppresso che sprofonda nel fango del degrado. Due mondi agli antipodi ma tuttavia accumunati dall’immoralità, valore, concetto, comportamento o condotta personale che nasce dalle medesime azioni, ma che assume una diversa motivazione a seconda dell’ambiente. Droga, sesso e violenza per dimostrare e affermare il proprio potere, da un lato, e droga, sesso e violenza usati come mezzi per sopravvivere dall’altro, ma che non giustifica in ogni caso nessuna delle parti.

Un elemento quello religioso che, come si può facilmente intuire, gioca un ruolo fondamentale per la storia e per il personaggio di Kid, il quale proprio come il Dio Scimmia Hunaman, che dopo essere stato maledetto per la sua arroganza riprenderà i suoi poteri con l’aiuto di un’altra divinità dimostrando la propria bontà d’animo, avrà la sua rivalsa. E ad aiutare Kid a riprendere le forze e ricordare la nobiltà della sua vendetta e del suo spirito, saranno gli Hijra, comunità trans riconosciuta in India, al suo fianco nello scontro finale, come a simboleggiare la volontà della religione di volersi liberare dal parassita della corruzione.

Non c’è dubbio quindi che Monkey Man va ben oltre il semplice viaggio dell’eroe solitario in cerca di vendetta, e lo fa attraverso una propria e ben definita incalzante e impattante identità sia dal punto di vista della regia che della messinscena, catapultando lo spettatore fin dai primi minuti nell’anima della storia e lasciando che questo venga avvolto dalla ferocia degli ambienti fatiscenti e dalle tematiche sulle quali non si può non riflettere.

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Emanuela Giuliani

Il Voto della Redazione:

8


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