“Nomandland”: un inno alla libertà fra trame di malinconia

Nomadland – Recensione: un inno alla libertà fra trame di malinconia

“Nomadland” – Recensione: un inno alla libertà fra trame di malinconia

Io non dico mai addio per sempre. Dico sempre ci rivediamo lungo la strada”

Il lungometraggio di Chloe Zhao parte dalla chiusura di una fabbrica di cartongesso e di una miniera nel 2011 ad Empire, nel Nevada, dramma che costringe tutti i lavoratori residenti a trasferirsi. Una pellicola di denuncia politica, di amicizia e di libertà e soprattutto una riflessione profonda sull’elaborazione del lutto, un viaggio nell’America degli ultimi, tra coloro che “a volte chiamano nomadi, o persone senza fissa dimora”.

Protagonista nei panni della disillusa Fern, è una straordinaria Frances McDormand, una donna sola che vive nel suo van, attraversando il paese per passare da un lavoro precario all’altro. Un furgone che contiene tutta la sua vita, tra ricordi e sassi raccolti nel deserto del Nevada, unico mezzo per sfuggire ai fantasmi del passato, entrando in una comunità ai margini, fatta di gente solitaria, per scelta, ma al contempo estremamente coesa e solidale.

“Non sono una senza tetto, sono una senza casa”

Persone non più giovani, costrette ad accettare i lavori più umili, non garantiti, pagando il prezzo della libertà.

“Amo questo stile di vita, è una vita piena di libertà ed a diretto contatto con la terra. Però devi imparare a gestire la tua cacca”

Una pellicola tratta dal libro “Desert solitarie: una stagione nella natura selvaggia” di Edward Abbey, che ha dato vita ad un’opera struggente e  malinconica, esaltata dalla fotografia intensa di Joshua James Richard, tra deserti e tramonti mozzafiato, che si snodano in un crescendo di emozioni accompagnato da una colonna sonora avvolgente ed empatica, tra composizioni di Einaudi ed Arnalds, per  rafforzare le trame di questo mondo errante, vivo affresco delle sfumature dell’anima ad opera della Zhao.

Con quest’opera la regista conferma il suo talento, già mostrato in “The Rider” storia di un campione di rodei costretto a concludere la sua carriera per un grave incidente.

“Nomandland”: un inno alla libertà fra trame di malinconia

“Nomadland” è pura poesia, il racconto di una vita fatta di numerosi imprevisti, ma anche della più radicale indipendenza, dipinta tra primi piani stretti che mostrano volti senza trucco, abiti informi, specchi di questa realtà che sa regalarci un intenso sguardo sul mondo, su se stessi e sull’America dei grandi spazi.

Un ritratto vivo di scenari incontaminati e persone senza maschere, veri nelle loro vicissitudini, nelle loro scelte, plasmati da un passato che non vogliono dimenticare e che li ha portati a questo. Primi piani che sembrano indagare la geografia di un volto impietosamente segnato dalle difficoltà e dalla vita, un volto che però non si è arreso, ma che prosegue il suo cammino, nonostante tutto.

Una geografia di volti che sa danzare e fondersi con la geografia dei panorami, illuminati dai raggi di un sole che si stagliano da un tramonto, avvolgendo i corpi grazie alle ombre sul terreno in un infinito abbraccio.

Un abbraccio di solidarietà, emblema del legame che caratterizza questa tribù di pionieri del nuovo millennio.

“Io credo che quello che fanno i nomadi non sia così diverso da quello che facevano i pionieri, in fondo è una tradizione americana”

Una vita che scorre nel ricordo di un marito che non c’ è più quella di Fern, avvolta dalle storie di nuovi amici, capaci di condividere le tragedie di questo viaggio nel mondo allo stesso modo, planando su di esse con la stessa leggerezza nel cuore, nonostante le sofferenze, la leggerezza della libertà di essere se stessi, oltre le convenzioni sociali.

Queste persone hanno saputo fare dell’assenza di punti di riferimento la loro vittoria, celebrando la loro dignità e godendo di ogni piccola gioia, resi forti dalla necessità di reinventare se stessi per andare avanti.

“Nomadland” è una storia di vita che di rado calca le scene dell’universo cinematografico, una pellicola vibrante su una comunità che sa stare a fianco di chi è rimasto indietro, dedicato a chiunque viva una perdita impossibile da superare. Un viaggio on the road e contemporaneamente negli abissi della nostra anima.

“Non lo so forse quando morirò i nostri amici si raduneranno intorno al fuoco e getteranno una pietra in mio ricordo”

Un film che è negli occhi di chi lo guarda e che vive nel cuore di chi lo sa percepire nel profondo, capace di emozionare, di regalare squarci di vissuto e di panorami e di commuovere. Uno spettacolo dove la bellezza esplode improvvisa come in un paesaggio, così in una voce, in una storia sconosciuta che sembra donare sollievo da ogni fatica, in un lungo abbraccio capace di condividere l’immenso dolore di una perdita che continua a vivere, capace di estendersi come un istante eterno.

“…ma la tua eterna estate non potrà svanire, nè perdere possesso della tua bellezza, nè la morte potrà vantarsi di averti nell’ombra sua, poichè tu crescerai nel tempo in versi eterni, finchè uomini respireranno e occhi vedranno, vivranno questi miei versi ed a te daranno vita”

Dedicato a tutti coloro che hanno dovuto lasciarci. Ci vediamo lungo la strada.

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Chiaretta Migliani Cavina

Il Voto della Redazione:

8


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