Pretty Woman, la fiaba urbana che ha riscritto le regole della commedia romantica con protagonisti Julia Roberts e Richard Gere.
Quando Pretty Woman debuttò al cinema nel 1990, nessuno avrebbe potuto prevedere l’impatto duraturo che avrebbe avuto sulla cultura popolare e sull’evoluzione della commedia romantica. Diretto da Garry Marshall, il film sembrava inizialmente una classica storia d’amore hollywoodiana, confezionata per intrattenere, ma in realtà, sotto la superficie lucida e patinata, nascondeva una miscela di tematiche complesse. Dalla trasformazione personale, alla dignità, libertà di scelta e sguardo critico sul sogno americano, con la sua forza racchiusa nell’equilibrio sapiente tra il tono fiabesco e la realtà sociale, tra intrattenimento e riflessione, evasione e autenticità emotiva.
Il successo mondiale, oltre 460 milioni di dollari di incasso, e l’affetto trasversale che continua a raccogliere a distanza di più di trent’anni, non si spiegano solo con la chimica irresistibile tra Julia Roberts e Richard Gere, o con la colonna sonora iconica, ma con la capacità del film di parlare a più livelli e di farlo con grazia e intelligenza.
Vivian e Edward: l’incontro che svela due anime sole
Il cuore pulsante di Pretty Woman è l’incontro tra due solitudini. Vivian Ward, interpretata da una Julia Roberts in stato di grazia, è una giovane donna che ha imparato a sopravvivere in un mondo che non fa sconti, il suo lavoro come prostituta non la definisce, ma è il contesto in cui è costretta a muoversi. Vivian è consapevole, arguta, ironica: non aspetta un salvatore, ma qualcuno che la veda davvero, e nel corso della narrazione, il suo “makeover” estetico – spesso banalizzato come trasformazione da “brutta anatroccolo” a principessa – diventa invece il simbolo visibile di un’evoluzione interiore più profonda. Non cambia per piacere agli altri, ma perché riscopre il valore di sé stessa, e impara a pretendere rispetto. Non vuole solo essere amata: vuole essere riconosciuta.
Edward Lewis, l’imprenditore miliardario impersonato con sobrietà da Richard Gere, è l’altra metà di questo equilibrio emotivo, apparentemente realizzato è prigioniero del controllo e dell’isolamento. Acquista aziende per smembrarle, così come compra tempo e compagnia per evitare il confronto con la propria emotività e ’incontro con Vivian è peer lui destabilizzante poiché lo costringe a guardarsi dentro, a riscoprire la possibilità di essere vulnerabile senza sentirsi debole. La sua trasformazione non è vistosa, ma profonda: da uomo che compra tutto a uomo che impara a donare, a lasciarsi toccare.
Non è la storia di una salvezza unidirezionale, ma un processo di crescita reciproca. Edward e Vivian non si salvano, si svelano: si spingono a essere migliori, più autentici, più vivi.
Commedia sì, ma con intelligenza e cuore
Uno dei grandi meriti di Garry Marshall è stato quello di costruire una commedia capace di divertire senza mai scivolare nella superficialità, il tono leggero è solo la veste narrativa di una storia che, in profondità, parla di identità, potere, riscatto e relazioni autentiche. La regia si distingue per empatia e misura, riuscendo a equilibrare momenti di brillante umorismo con attimi di sincera introspezione.
Le scene iconiche – dalla scatola dell’anello che si chiude sulle dita di Vivian, all’ascensore, fino alla serata all’opera – non sono semplici espedienti romantici, ma veri e propri passaggi simbolici. Segnano l’evoluzione dei personaggi e il superamento delle loro barriere interiori.
Fondamentale anche il ruolo della colonna sonora, che rafforza le emozioni e accompagna la narrazione, e la celebre Oh, Pretty Woman di Roy Orbison esalta la leggerezza del racconto, mentre brani più intensi amplificano la sua dimensione emotiva.
Oltre al suo straordinario successo commerciale, Pretty Woman ha lasciato un’impronta profonda nella cultura popolare ridefinendo il canone della commedia romantica spostandone il baricentro da una femminilità passiva e sognante a una protagonista attiva, ironica, padrona del proprio destino. il film ha inoltre contribuito a fare di Julia Roberts un’icona globale, regalando al pubblico una figura femminile nuova: credibile, imperfetta, luminosa.
Pretty Woman ha influenzato la moda, introdotto espressioni divenute parte del linguaggio comune, ed è stato adattato a teatro, oltre a essere oggetto di analisi in corsi universitari di cinema, comunicazione e gender studies. La sua capacità di resistere al tempo non si deve soltanto al romanticismo della storia, ma alla profondità tematica che la sostiene.
Emancipazione femminile tra forza e controversia
La rappresentazione della figura femminile in Pretty Woman ha generato negli anni interpretazioni discordanti, a testimonianza della sua ambiguità culturale. Alcuni critici hanno letto il film come una moderna favola romantica che, sotto una patina di glamour, romanticizza la prostituzione e ripropone dinamiche patriarcali, attribuendo a Edward un ruolo paternalistico, quasi da “principe salvatore”. Questa lettura tende però a semplificare e ridurre la complessità del personaggio di Vivian.
Vivian, infatti, non è mai un’“eroina da salvare” nel senso classico del termine, è una donna consapevole della propria condizione, che agisce per scelta e con autonomia, anche in un contesto inizialmente di svantaggio. Impone confini chiari, si sottrae a umiliazioni, e soprattutto si allontana quando intuisce il rischio di perdere se stessa in una relazione basata sul compromesso. Rifiuta l’idea di essere “tenuta” in un attico come ricompensa per la sua bellezza o disponibilità. Ciò che chiede — e pretende — è una relazione alla pari, basata sul rispetto e sulla reciprocità, anche se è consapevole che quella parità, per una donna, non è mai scontata: richiede forza, coraggio, e spesso anche la capacità di rinunciare a ciò che appare facile o sicuro.
Vivian anticipa un modello di protagonista femminile che oggi riconosciamo come moderno: una figura forte nella vulnerabilità, capace di autodeterminarsi pur tra le contraddizioni, è imperfetta, fallibile, pienamente umana. Il suo percorso è, in fondo, una narrazione di crescita e consapevolezza, più che di redenzione. Non cambia per l’amore di Edward, ma si trasforma perché sceglie di volersi bene, di pretendere di più, non solo dagli altri ma anche da se stessa.
In questo senso, Pretty Woman resta un film aperto, che si presta a una doppia lettura: da un lato, incarna un sogno romantico costruito su cliché tradizionali; dall’altro, propone — forse senza volerlo esplicitamente — un ritratto di femminilità in trasformazione, che sfida stereotipi e anticipa nuove possibilità di rappresentazione.
Una storia ancora viva, oltre il lieto fine
A oltre trent’anni dalla sua uscita, Pretty Woman continua a parlare a generazioni diverse perché tocca corde universali: il desiderio di essere visti, accolti e amati per ciò che si è, al di là delle apparenze e dei ruoli sociali. È un film che offre conforto, ma senza rinunciare a sollevare interrogativi scomodi. Invita a riflettere su come costruiamo la nostra identità, su cosa significhi davvero rispetto reciproco, e su come le relazioni autentiche possano diventare luoghi di crescita, riconoscimento e rinascita.
Il suo messaggio centrale – che il cambiamento più profondo nasce dallo sguardo che riconosce senza giudicare – resta sorprendentemente attuale. L’amore, nel mondo di Pretty Woman, non è il coronamento di un sogno, ma l’inizio di una scelta consapevole. Una scelta che non si basa sul bisogno, ma sulla libertà, non servono salvataggi romantici, ma alleanze tra pari.
Il film continua a essere citato, reinterpretato, discusso e amato perché riesce a tenere insieme leggerezza e profondità, sogno e consapevolezza, non offre risposte facili né morali preconfezionate, ma pone domande autentiche. In un panorama narrativo spesso dominato da cinismo o idealizzazioni eccessive, la sua capacità di emozionare senza semplificare rappresenta ancora oggi una rarità preziosa.
Il finale – tanto iconico quanto aperto – non è il classico “vissero felici e contenti”, ma piuttosto l’inizio di un nuovo cammino: due persone che si scelgono, finalmente consapevoli di chi sono e di ciò che vogliono diventare insieme. Forse è proprio questa la vera magia di Pretty Woman: ricordarci che l’amore non è una favola da inseguire, ma una possibilità concreta di trasformazione e libertà, se vissuto con autenticità.
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Emanuela Giuliani