queer romanzo e film

Queer: dal romanzo di William S. Burroughs al film di Luca Guadagnino

Dal romanzo di William S. Burroughs Queer alla discussa trasposizione cinematografica diretta da Luca Guadagnino.

Presentato in anteprima mondiale all’81esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia e approdato nelle sale italiane dal 17 aprile 2025, Queer, diretto da Luca Guadagnino, si afferma come una delle operazioni cinematografiche più audaci degli ultimi anni. Con un inaspettato Daniel Craig in un ruolo radicalmente distante dall’iconico James Bond, il film trae ispirazione dall’omonimo romanzo di William S. Burroughs, tra i testi più controversi e introspettivi della Beat Generation.

Scritto nei primi anni Cinquanta ma pubblicato solo nel 1985, il libro rappresenta infatti una testimonianza cruda, dolorosa e alienata del desiderio omosessuale in un’epoca che lo condannava al silenzio e alla marginalità, e Guadagnino si confronta con questo materiale incandescente con una sensibilità estetica e narrativa del tutto personale, in grado di far dialogare per l’appunto questa marginalità esistenziale del passato con le inquietudini del presente.

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Il romanzo: alienazione, desiderio, disperazione

Nel romanzo, William Lee – alter ego dello stesso Burroughs – vaga per le strade di Città del Messico come un’anima perduta. Tossicodipendente, emarginato, narratore instabile e frammentato, Lee è alla disperata ricerca di senso, incarnato nella figura sfuggente di Allerton, un giovane americano tanto affascinante quanto distante. Il desiderio, qui, non ha nulla di liberatorio: è ossessione, fame mai saziata, condanna a una solitudine irredimibile.

Burroughs costruisce un diario mentale allucinato in cui i confini tra realtà e delirio si fanno porosi. Lo stile è scarno, sincopato, frammentario, l’omosessualità non è vissuta come affermazione identitaria ma come condizione tragica, impossibile da esprimere pienamente, e la narrazione, priva di una struttura lineare, si compone di episodi scollegati, riflettendo fedelmente il caos interiore del protagonista.

Il film: un’estetica del silenzio e della carne

Guadagnino accoglie l’essenza profonda del romanzo, ma sceglie una via espressiva radicalmente diversa. Se Burroughs scrive un’opera claustrofobica e autoriflessiva, il regista italiano apre lo sguardo, dilata i confini dell’esperienza seguendo con la macchina da presa i pensieri di Lee e catturandone i gesti, i silenzi, gli sguardi, e il desiderio diventa materia visiva attraverso il calore della luce, la densità dell’aria e il sudore sulla pelle.

La fotografia disegna uno spazio fisico e mentale in cui la confusione affettiva del protagonista si traduce in paesaggi sospesi, in chiaroscuri che rimandano a un mondo tanto tangibile quanto onirico. Guadagnino rende visibile il desiderio, senza sottrarre nulla alla sua componente di dolore. Il corpo maschile – mostrato, accarezzato, inseguito – si trasforma in superficie narrativa, in luogo di scrittura emotiva.

Struttura narrativa: dall’allucinazione alla chiarezza emotiva

Una delle trasformazioni più rilevanti operate dal film riguarda la struttura narrativa, di fatto Guadagnino abbandona la frammentarietà caotica del romanzo per abbracciare una narrazione più coesa e leggibile. Non si tratta di una semplificazione, bensì di una traduzione cinematografica della complessità emotiva del testo. Il regista conserva la tensione interna del romanzo attraverso un uso raffinato del ritmo, dei silenzi, delle ellissi visive, e il tempo, pur ordinato, conserva una dimensione fluttuante, rivelando vuoti emotivi più che eventi.

Questa scelta rende il film accessibile anche a chi non conosce l’opera letteraria, senza comprometterne la profondità drammatica. L’anima resta intatta: l’amore che si consuma nel silenzio, l’identità che non trova riconciliazione, la rabbia contro un mondo che rifiuta la complessità del vivere queer.

Personaggi e psicologie: empatia contro alienazione

Una differenza cruciale tra romanzo e film riguarda la rappresentazione dei personaggi. Allerton, figura quasi astratta nel testo, oggetto di proiezione e desiderio, diventa sullo schermo una presenza ambigua, umana, capace di slanci e crudeltà. Guadagnino lo libera dalla funzione di feticcio e gli restituisce una voce autonoma.

William Lee invece, interpretato con sorprendente misura e profondità da Daniel Craig, non è più soltanto il tossicodipendente paranoico e solitario del libro, ma un uomo spaccato, certo, ma capace di emozioni autentiche, di dolcezza, di autoironia. Guadagnino non giudica i suoi personaggi: li osserva, li accompagna, li lascia essere contraddittori e umani.

Corpo, desiderio e politica dell’immagine

Nel film, il desiderio non è più nascosto o sublimato come nel romanzo: è tangibile, corporeo, ma mai compiaciuto. Guadagnino ne fa una chiave poetica, evitando ogni deriva voyeuristica. Il corpo maschile è desiderato, ma anche esposto nella sua vulnerabilità, nella sua ferita. Il desiderio non trionfa: è una tensione costante, una domanda mai pacificata, un’urgenza narrativa che si fa carne.

In questo senso, Queer è anche un film politico e senza retorica né proclami, Guadagnino restituisce visibilità a un’identità storicamente repressa, con delicatezza e rigore. Il desiderio queer non è qui decorativo né trasgressivo, ma essenziale: una forma di sopravvivenza, una ricerca di senso, una verità emotiva che sfida la norma.

Un’opera senza tempo: dialogo tra passato e presente

Pur ambientato in un contesto storico preciso, Queer parla al presente. Guadagnino non si limita a mettere in scena una storia del passato, ma interroga questioni ancora centrali: l’invisibilità sociale, la fragilità dell’identità, il desiderio come resistenza. Il film non è soltanto un adattamento, ma una riflessione contemporanea sulla condizione umana.

L’opera solleva domande che risuonano oggi con forza: chi ha il diritto di desiderare liberamente? Qual è il prezzo dell’amore non normato? Che spazio resta per chi non si riconosce nei codici dominanti dell’identità? In questo senso, il film va oltre il testo di partenza, amplificandone la portata esistenziale e politica.

Queer di Luca Guadagnino non è una trasposizione letterale del romanzo di Burroughs, ma una riscrittura fedele allo spirito originario attraverso la forza evocativa delle immagini, la profondità delle interpretazioni e una regia che privilegia l’empatia al distacco, il film rinnova un’opera difficile, trasformandola in un’esperienza sensoriale e una meditazione sull’identità, il desiderio e la solitudine.

È l’incontro tra due autori lontani ma intimamente affini: Burroughs con la sua prosa nuda, dolente e disarticolata; Guadagnino con un cinema corporeo, sensibile e profondamente umano. Due voci, due epoche, un’urgenza condivisa: raccontare la solitudine di chi ama senza poter essere amato.

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Emanuela Giuliani


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